mercoledì 28 dicembre 2011

La mia recensione a "Gli angeli non si possono disegnare" di Maria Annita Baffa

C'è profumo di conserva di pomodoro e di caffè arrostito all'ombra delle acacie, di salgemma pestato col mortaio di rame per salare i prosciutti e di sole caldo del profondo Sud, in “Gli angeli non si possono disegnare”, romanzo che Maria Annita Baffa ha pubblicato recentemente con Curcu&Genovese.
C'è però anche il profumo di antiche tradizioni mediterranee e di un mondo rurale sospeso nell'aria arsa e surreale di agosto riservato a pochi. Agli arbëreshë, gli albanesi d'Italia delle comunità disseminate nello spazio tra gli Abruzzi fino alla Sicilia, arrivati tra la fine del XV secolo e la prima metà dell'Ottocento, quelli che oggi vengono indicati con il termine di shiqipëtarë. Quelle comunità che hanno conservato fino ad oggi l'uso della lingua albanese antica, che si è arricchita nel tempo di prestiti dall'italiano e che rischia di sparire, perché le nuove generazioni tendono a non usarla e «perché le scelte di politica scolastica sono state sempre inadeguate ai bisogni della comunità».
C'è pure la scuola tra gli ingredienti del romanzo dell'autrice nata a Santa Sofia D’Epiro, un paese arbëresh della provincia di Cosenza, ma che vive da mezza vita a Trento. Per scelta. Così come a Trento vive e lavora la protagonista del romanzo, Sofia, che scappa, con il figlio al seguito, verso il sud Italia. Solo qualche anno dopo compirà lo stesso viaggio al contrario. Un continuo spostamento e una repentina fuga da rifiuti, incomprensioni e servizi sociali che non funzionano, fino a che a Sofia l’Italia arriva ad apparire una sola, senza differenze. E in questo suo viaggio lungo la Penisola, la accompagna Lisandro, un ragazzo speciale che non finisce mai di sorprenderla: suo figlio. Prima, però, c'è spazio per scoprire il passato della protagonista, che affonda le radici nella cultura arbëresh.
Un passato fatto di piccole cose, di scenari abbaglianti, di profumi perduti, di grandi uomini e donne e di tutta una parata di personaggi indimenticabili. Gli anni passano, la vita cambia, così come i luoghi di appartenenza. Ciò che non cambierà mai, per Sofia e suo figlio, saranno gli incontri con persone in grado di trasmettere musica, emozioni, cultura, e di creare, magicamente, collegamenti tra la realtà e la fantasia: come gli angeli. Che non si possono spiegare. Né disegnare.


E' verosimilmente una sorta di (auto?)biografia quella dell'autrice che, tra le pagine della narrazione, spesso si sofferma - con soggettiva amarezza più che con obiettività - sulla burocrazia legata al mondo della scuola, sui muri che si innalzano di fronte ai genitori di alunni con difficoltà, la cui unica richiesta al sistema scolastico è spesso quella di veder riconosciuti i meriti ed i miglioramenti dei proprio figli. E non sempre e solo i limiti.


Quella di Baffa appare insomma come un accanimento nei confronti della scuola italiana, pubblica e privata, che invece, per contro, molto le ha dato in termini lavorativi.


La scrittura è fluida, per nulla impegnativa, e la lettura di conseguenza piacevole. Peccato che spesso i tempi verbali narrativi non vengano rispettati (un neo per un'insegnante!): la chiarezza della dilatazione temporale del racconto è minata.


Ne consiglio tuttavia la lettura. L'apporto culturale relativo al mondo degli arberesh che Maria Annita Baffa dona ai suoi lettori è notevole.

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