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sabato 25 gennaio 2014

"Curricula ridicula", per due risate in barba alla crisi

I curricula dei candidati, lo sanno bene tutti quelli che per lavoro ne ricevono a decine o centinaia al mese, sono spesso pasticciati, esagerati, pieni di ingenuità e di strafalcioni esilaranti. Raccolti in un libro, che negli ultimi anni ha raggiunto il successo, dal titolo "La mia azienda sta stirando le cuoia - mille curricula ridicula dell'Italia che cerca lavoro". L'editore è Sperling & Kupfer mentre l'autore si nasconde dietro lo pseudonimo di Consul Enza, sicuramente è un professionista della selezione del personale: uno di quelli che, nel gergo aziendale, vengono chiamati "cacciatori di teste". Per anni ha diligentemente raccolto, tra le migliaia di risposte alle inserzioni di ricerca del personale, i curriculum più spiritosi e divertenti. Tutti rigorosamente autentici. Obiettivo: farne un best-seller della risata, sempre valido.

Ne riporto alcuni estratti, liberamente interpretati.

L'ESORDIO
L'alfabeto? - Sono un laureato in economia e commercio, vi scrivo perché voglio diventare un manager con la A maiuscola.
Col binocolo - Ho visualizzato la Vs. inserzione leggendola sul giornale.
Poliziesco - Allego alla presente il mio identikid.
Infiltrati - Vi chiedo di essere infiltrato nella vostra Banca dati.
Aiuto! - Prendo sputo dalla vostra inserzione.
Station wagon - In risposta al Vostro annuncio premetto che dispongo di un ampio bagagliaio d'esperienza.
Lacrime amare - Mi sono impelagato in un lavoro che fa piangere.
Saldi - Sono in offerta speciale perché tra due giorni mi dimetto.
Non vale un gran che - Allego un breve straccio del mio curriculum.
Curricula forati - Se nel mio curriculum trovate due buchi è perché ho avuto due figlie .
Just in retard - Spero di essere ancora "just in time" per inviarvi un curriculum, anche se sono passati 32 giorni dall'inserzione.
L'africano - Mi è giunto il tam-tam della vostra ricerca.
Avrà sonno - Vi farò una breve ricapitolazione del mio bedground .
Barbiere di Siviglia - Volete un venditore coi baffi, pelo e contropelo?
Fiaba - C'era una volta un laureato in filosofia al primo impiego che cercava lavoro.
Demenziale - Vi ringrazio del Vs. invito, ma siccome ci ho ripensato, non accetto inviti da sconosciuti .
Superalcolica - La vostra offerta mi inebria .
Magellano - Vi allego una breve ma mi auguro chiara circumnavigazione delle mie esperienze professionali .
Modesto - La mia può sembrare un'Odissea, ma Ulisse in confronto non è nessuno, ho viaggiato per tutta la vita.
Tascabile - Il mio curriculum è breve e potrebbe stare nel palmo di una mano:sono monoaziendale.
Salomè - Non ho segreti, vi scrivo senza veli .
San Giovanni - Ecco la mia testa su un piatto d'argento .
La piovra - La vostra inserzione è tentacolare .
Coerente - Sono perito agrario ancora in erba.

COME SI PRESENTANO
Capelluto puntuale - Non sono calvo e ho il fisic du rolex .
Pinocchio - Sono un tipo piuttosto longiligneo.
I nostri eroi - Mio padre è stato ufficiale della Guardia di Finanza, che salva più vite umane degli stessi medici e a rischio della propria.
Gerarchie - Stato di famiglia: padre, madre, fratello inferiore.
Per le mamme siamo sempre bambini - Ho due bambini piccoli di 12 e 18 anni.
Parentado colto - Circa trenta dei miei parenti sono laureati, come il fratello di mia madre. Circa venti dei miei parenti sono diplomati alle scuole medie superiori.
Vocazione familiare - Sono sposato ragioniere, mia moglie è ragioniera, i miei figli ragionieri .
Parenti d'acciaio - Il marito di una cugina di mio padre da parte di mio nonno paterno era ingegnere.
Tira e molla - Mi sono separato, poi divorziato, poi risposato poi ancora separato, adesso non ci casco più .
Culturista - Alto: 1.83; pesante: 60 kg. Miei punti di forza: bicipite 40 cm intrazione, torace 140 cm, capacità inspiratoria 10 litri.
Bidonato - Ho sposato un'ereditiera che però non ha mai ereditato .
Sa anche contare! - Se prima eravamo in due, adesso col bambino siamo in tre .
Scoppia di salute - Di salute sto più che bene, e posso migliorare dopo quattro piccoli interventi chirurgici .
Buongustaio - Qui ora c'è la parte più appetitosa del mio curriculum.
Figlio di calcolatrice - Ritengo di essere di natura contabile.
L'arcobaleno - Come potete vedere il mio è un curriculum variopinto...

Insomma, un'esilarante antologia dell'errore umano nel quale si scopre come gli sbagli tradiscano una estrema fantasia, varietà e sovversività. Un libro che si pone come un vero e proprio manuale di sopravvivenza nella giungla rappresentata dal mondo del lavoro.

Per farsi due risate. Sincere.

venerdì 29 novembre 2013

"Argento vivo" di M. Malvaldi

Dunque, iniziamo dalla terza di copertina.

C'è una rapina nella casa di uno scrittore molto noto; col bottino sparisce anche il computer in cui è salvato il suo ultimo romanzo non ancora consegnato alla casa editrice e incautamente non conservato in altro modo. Da questo momento il racconto comincia a scivolare come argento vivo sul piano accidentato della sua avventura, e si insinua, imprendibile e vivificante come il metallo liquido degli alchimisti, nel tran tran quotidiano dei tanti e diversi protagonisti. Ognuno dei quali sarebbe per sorte lontanissimo dagli altri, ma si trova suo malgrado coinvolto...

Grande varietà di personaggi che come gocce di mercurio liquido si incontrano-scontrano-separano-incrociano, con i loro pezzi di quotidianità: è questo che mette in campo Marco Malvaldi nel suo "Argento vivo", e che fa muovere intorno alle eventualità aperte dallo svolgersi dell'inchiesta di Polizia, su cui a loro volta gli individui incidono inconsapevoli con le scelte che fanno, creando una commedia dai toni gialli sugli incroci del destino.

E' ogni volta un piacere leggere Malvaldi, ironico e dissacrante come sempre con il suo linguaggio frizzante e fluido, anche se - devo ammettere - in "Argento vivo" c'è la sensazione che manchi qualcosa, forse un guizzo di originalità, o un finale (che in realtà sono più di uno) meno scontato.

Lo consiglio tuttavia a chi vuol godersi i frutti sorprendenti di azioni, reazioni e interazioni umane, a chi vuol bersi senza tante pretese un giallo brillante, dai dialoghi effervescenti e dalle limpide - anche se a volte un po' forzate - vicissitudini.

sabato 2 novembre 2013

"La carta più alta" di M. Malvaldi

«Non è che tutti gli anni possono ammazzare qualcuno per farvi passare il tempo», sbotta disperato Massimo il barrista (sì, con la doppia erre, volutamente!). Ma è impossibile sottrarsi al nuovo intrigo in cui stanno per trascinarlo i quattro vecchietti del BarLume, adepti della pensione, una di quelle tradizioni italiche d'altri tempi, destinate a sparire".

E già con una spassosa premessa di questo tipo, "La carta più alta" - il giallo di Marco Malvaldi - non può che lasciare intendere un proseguo altrettanto irriverente.

Dalla vendita sottoprezzo di una villa lussuosa, i pensionati - investigatori per amor di paesana maldicenza, oltre che titolari di sano buontempo - sono arrivati a dedurre l’omicidio del vecchio proprietario, morto ufficialmente di un male rapido e inesorabile. Massimo il barrista (sì, rivolutamente con la doppia erre!), ormai in balìa dei vecchietti che stanno abbarbicati tutto il giorno al tavolino sotto l’olmo del suo bar nel paese immaginario e tipico di Pineta, trasforma controvoglia quel fiume di malignità e di battute in un'indagine. Il suo lavoro d’intelletto investigativo si risolve grazie a un’intuizione che permette di ristrutturare le informazioni durante un noioso ricovero ospedaliero, proprio come avviene nei classici del giallo deduttivo.

E a questo genere apparterrebbero, data la meccanica dell’intreccio, i romanzi del BarLume, se non fosse per le convincenti e fresche innovazioni che vi aggiunge di volta in volta Marco Malvaldi. La situazione comica dei quattro temibili vecchietti che sprecano allegramente le giornate tra battute diatribe e calunnie, diventa base informativa e controcanto farsesco di fondamentale importanza al mistero. La rappresentazione, umoristica e irriverente insieme, della realtà della provincia italiana nel suo localismo, nel suo vitalismo e nel suo eccentrico civismo, si ritrova così incarnata in un paesino balneare della costa toscana, da dove passano e ripassano i personaggi di un'italica commedia in forma di giallo.

Dopo la felice digressione ottocentesca - con tanto di Pellegrino Artusi tra i personaggi principali, alle prese con un delitto - di "Odore di chiuso", Malvaldi torna al languore balneare e un po’ indolente di Pineta. Questa volta gli investigatori - fautori della nobile arte del "farsi i fattacci altrui" - sono Ampelio, Aldo il ristoratore, Il Rimediotti e il Del Tacca del Comune. Questi quattro ineffabili gourmet di semolino stanno sulla pagina con la disinvolta allure di un A-Team di ottuagenari, pronti ad ogni piè sospinto a rivendicare il loro diritto a mangiare – ché mangiare gli garba parecchio – a “giocà” a carte o biliardo e fumare qualche sigaretta: arrivati al punto in cui sono arrivati, l’invulnerabilità è a un passo.
A fare da contrappunto al loro incessante borbottìo, che sparge fiele sulle cose del mondo facendo nel contempo piegare in due il lettore dalle risate, c’è Massimo, che ha da poco cambiato casa, divorziato, perso la sua banconista preferita, la "bona" e giovane Tiziana, e acquisito - oltre alla squadra paesan-investigativa più veritiera di questa parte id mondo - una vicina di casa che frigge dalla mattina alla sera alimenti non meglio precisati in oli non meglio precisati, impestando l’aria e guastando al nostro barrista l’umore. Massimo farebbe volentieri a meno di cacciare il naso in una storia vecchia di vent’anni, e della quale non è affatto convinto. Ma il caso ci mette lo zampino - oltre che una radice sporgente - e una catena di eventi scalda i motori per mettersi in moto come un diesel: lenta ma inesorabile.
"La carta più alta" riesce in una di quelle alchimie cui il chimico (ché chimico nella vita l'autore lo è per davvero!) Malvaldi ci ha abituati, imbastendo un intreccio spassosissimo (azz, sei esse!) e ben strutturato che viaggia in parallelo alla splendida caratterizzazione dei personaggi e ai loro esilaranti dialoghi.
Un giallo che va giù come té freddo al limone, tracannato alle due di pomeriggio, sotto la canicola di pieno luglio, che consiglio vivamente: perché con Malvaldi, ancora una volta si ride, ci si immedesima e si vuol bene a Massimo il barrista (sì, ri-rivolutamente con la doppia erre!) e ai suoi fantastici vecchietti: chi non vorrebbe avere personaggi del genere nel proprio paese?

domenica 11 agosto 2013

Strafalcioni, gaffe e strane domande dei clienti ai librai

Forse a qualcuno è capitato, girando tra gli scaffali di una libreria, di ascoltare qualche conversazione tra librai e clienti non proprio nel loro ambiente naturale. Più spesso di quanto si creda questo genere di dialoghi assumono risvolti davvero comici. Anzi, forse quasi tragicomici, se ci si mette nei panni del venditore di libri o se semplicemente si ha un po’ di familiarità con la letteratura.
Nel libro di Stefano Amato intitolato, in modo eloquente, "Avete il gabbiano Jonathan Listerine?" (Editrice Bibliografica), si trova un’esilarante raccolta di richieste assurde, equivoci linguistici e strafalcioni, come per esempio:
"Scusi c'è un errore. Mi hanno regalato il nuovo della Rowling, ma siccome non c'è Harry Potter vorrei cambiarlo."

Oppure scambi come i seguenti:

Cliente: “Avete libri sullo yogurt?”
Libraio: “Ha guardato fra i libri di cucina? Lì dovrebbe esserci qualcosa.”
Cliente: “Che c’entrano i libri di cucina, scusi?”
Libraio: “Intendeva ‘yoga’, giusto?”
Cliente: “Perché io che ho detto?”

Cliente: “Mi consiglia un libro per una ragazza bloccata in casa con la gamba ingessata? Dev’essere bello lungo, però.”
Libraio: “Ok. Ha in mente un genere?”
Cliente: “No, so solo che lo vuole molto lungo. Almeno novanta pagine, tipo”...


fonte & read more @ Andrea Bressa Panorama.it

giovedì 1 agosto 2013

Fahrenheit 451

“Fahrenheit 451” è ambientato in un futuro indefinito, ed è la storia di Guy Montag, pompiere di professione. Nel futuro descritto da Ray Bradbury però, i pompieri non sono quelli che spengono gli incendi, ma coloro che li appiccano, incendiando i libri.
I pompieri di “Fahrenheit 451” hanno infatti il compito di incendiare tutti i libri rimasti negli Stati Uniti, perché questi sono stati dichiarati illegali. Uno strano autoritarismo silenzioso tiene sotto controllo le normali attività, e la televisione viene dichiarato l’unico mezzo di comunicazione attraverso il quale è possibile ricevere notizie.
Una sera, tornando a casa dal lavoro, Guy incontra Clarisse, una ragazzina che vive vicino casa sua. Clarisse è un personaggio un po’ bizzarro, una tipa strana, incline alla farneticazione. Ciò nonostante Guy ne rimane affascinato e prova istintivamente simpatia per i suoi discorsi stralunati.
Così come Clarisse sembra arrivata dal nulla, allo stesso modo svanisce dalla vita del pompiere, non prima però di aver insidiato in Guy lo strano desiderio di infrangere le regole, proprio come faceva la sua strampalata amica.
Da questo momento in poi Guy sarà assalito da una serie di dubbi e riflessioni, che gli offriranno una visione molto diversa della realtà che crede di vivere e che lo spingerà ad agire come mai avrebbe immaginato.

La fantascienza di “Fahrenheit 451” è estremamente visionaria, e se si considera che il libro fu pubblicato negli anni cinquanta, appare molto all’avanguardia per i suoi tempi.
La scrittura è serrata e coinvolgente, i fatti si svolgono nel giro di poche settimane e Bradbury riesce a tenere il lettore incollato alle pagine fino all’ultimo, nonostante in alcuni casi l’azione sia interrotta da lunghi discorsi che spiegano il funzionamento dell’immaginaria società in cui è ambientato il romanzo.

mercoledì 24 luglio 2013

"Le Beatrici" di S. Benni

"Chi sto aspettando? Un amante, un marito, un figlio, una figlia o... forse uno sconosciuto"

Otto monologhi al femminile. Una suora assatanata, una donna ansiosa e una donna in carriera, una vecchia bisbetica e una vecchia sognante, una giovane irrequieta, un'adolescente crudele e una donna-lupo. Un continuum di irose contumelie, invettive, spasmi amorosi, bamboleggiamenti, sproloqui, pomposo sentenziare, ammiccanti confidenze, vaneggiamenti sessuali, sussurri sognanti, impettite deliberazioni. Uno "spartito" di voci, un'opera unica, fra teatro e racconto. Una folgorazione. Tra un monologo e l'altro, sei poesie e due canzoni.

Per non farvi stare troppo sulle spine, sciogliamo subito l'enigma: si parla di Stefano Benni e dei personaggi del suo ultimo lavoro, trascrizione di uno spettacolo andato in scena al Teatro dell'Archivolto di Genova dal titolo "Le Beatrici".

Monologhi creati per il teatro, inframmezzati da canzoni e ballate a volte mai cantate, come l'ultimo, malinconico congedo che l'amico Fabrizio De André non fece in tempo a musicare. Un'occasione, secondo Benni, per mostrare al pubblico che la luce bluastra della televisione lascia in ombra una quantità enorme di attrici brave e meritevoli, più belle e "vere" delle più note starlette del piccolo schermo.

Splendida come sempre la penna dell'autore che dà voce a queste Beatrici irriverenti, sedute sul ciglio della cattiva strada più che sulla via che porta all'Empireo. Eppure, tra le ipocrisie retoriche e i degradanti sguardi che uomini e ominicchi di varia statura dedicano ultimamente alle donne, la parola teatrale e la risata di queste figure salvifiche, coraggiose, reiette e licantrope ci cattura - con un sorriso - come gesto politico e come atto di resistenza.

venerdì 5 aprile 2013

Libri a 0,99 euro? Sì, grazie

Quando nel mondo dei social network mi imbatto in "condivisioni" (nella forma ma non nella sostanza, dato che molti degli utenti in questione non (ri)leggono nemmeno i loro post, figurarci un libro!) l'appello "Libri a 0,99 euro? No, grazie!", non posso esimermi dal "condividere" (tanto nella forma - splendida scrittura la sua - quanto nella sostanza) a mia volta questo bellissimo articolo di Domenico Naso, pubblicato nel suo blog sulla terza del portale de Il Fatto Quotidiano.
 
"L’egocentrica megalomania degli scrittori italiani non ha davvero confini. E se consideriamo che in Italia sono tutti scrittori, ecco tratteggiata l’indole nazionale.
 
L’ultimo esempio è recente e riguarda il successo di una collana della Newton Compton, che ha pubblicato alcuni classici della letteratura a 0,99 euro, ha sbancato le classifiche e ha provocato veri e propri travasi di bile tra gli scribacchini italici. Nove titoli su dieci, nella classifica dei libri più venduti, appartengono a Live, ma per non demoralizzare troppo le case editrici concorrenti (e i loro suscettibilissimi autori), per loro c’è una categoria apposita, quella dei tascabili.
 
Seneca, Jane Austen, Scott Fitzgerald, Freud e Poe vendono più di Lilin, Camilleri, Agnello Hornby e compagnia, ma non si può dire, nossignore, perché le “major” del libro stampato non lo permettono.
La categoria ad hoc, però, non riesce a oscurare del tutto un successo innegabile. Le ragioni di questo boom sono di una semplicità disarmante, nonostante le analisi arzigogolate degli esperti del settore: prezzo bassissimo, grandi classici di qualità. What else?, direbbe il buon Clooney sorseggiando un caffè.
 
Gli italiani leggono poco, figuriamoci in tempi di crisi. Figuriamoci, poi, se tocca spendere 15 o 20 euro per leggere le elucubrazioni del personaggio à la page di turno, approvato dai salotti e dai grandi giornali. Molto meglio Poe, allora. Che almeno è morto da quel dì e non imperverserà nella timeline di Twitter, rompendo i cabbasisi con la promozione dell’ultimo capolavoro.
Ben vengano le iniziative come quella di Newton Compton, se servono ad avvicinare l’incolto popolo italico alla lettura. E pazienza se scrittori e scrittorucoli nostrani si lamentano del danno irreparabile che Live fa alle loro ambizioni personali. Scrivessero meglio, piuttosto, e allora saremmo pronti anche a sborsarli, quei 20 euro che oggi ci sembrano (giustamente) una rapina".
 
Un dubbio però rimane (ma temo di conoscere già la risposta): anche acquistando i classici ad un prezzo stracciatissimo, chi dice che questi vengano poi letti veramente?
 
Un conto è comperare, un conto è leggere!
 
 

lunedì 4 marzo 2013

Dove sono gli uomini?

Dopo aver vissuto in prima persona e raccontato la personale esperienza del downshifting in "Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita", per Chiarelettere torna Simone Perotti con "Dove sono gli uomini?", in cui l’autore si domanda "Perché le donne sono rimaste sole?"

Dove sono gli uomini, fisicamente e psicologicamente? Soprattutto a fare cosa, dove se non qui, e perché? Perché le donne sono tutte in giro, tutte in viaggio, tutte da qualche parte, spesso tra di loro, intente a fare o progettare qualcosa, mentre gli uomini sembra che si siano chiusi in casa, a doppia mandata, e non rispondano neppure a chi bussa con forza alle loro porte? Dove sono i protagonisti della scena, gli uomini del Mediterraneo, quelli che trovavi sempre al centro della piazza, al centro della spiaggia, al centro del bar, al centro della scena? Perché sul palco ora sembra che ci siano soltanto donne? Perché gli uomini non escono dai percorsi codificati del lavoro e della società? Perché sono sempre protetti da convenzioni e ruoli codificati, e quando non lo sono entrano subito in difficoltà? Perché gli uomini non parlano (se non di alcuni, pochi, argomenti estranei tanto a loro quanto a me), perché non chiamano, perché sembrano chiusi, rassegnati, stanchi prima ancora di aver iniziato a fare qualsiasi cosa? Per parlare degli uomini, oggi più che mai, occorre parlare con le donne, ascoltare le loro storie, farsi raccontare le loro avventure e disavventure, sfidando le leggi della riservatezza, tentando di collegare fatti e circostanze che ogni donna considera isolati, per cui spesso prova sentimenti di colpa, e che invece sono profondamente collegati tra loro.

L’85% delle donne accetta l’invito di una vacanza in barca contro il 15% degli uomini. Ai corsi di formazione aziendale la frequentazione femminile sfiora il 95%. Anche al corso di free climbing e di yoga le donne non si tirano indietro e sono una massiccia predominanza. In aeroporto, al ristorante, le donne sole o in compagnia sono una presenza fissa. Le donne affollano i corsi di sommelier e quelli di cucina (pensate al vincitore della seconda edizione di Masterchef Italia). I grandi acquirenti di libri – e, pare, anche di giornali e riviste – sono per l’80% donne. In un momento di piena crisi l’imprenditoria femminile è in crescita. Insomma, mentre la presenza delle donne in tutti i settori appare straripante, la figura maschile, da sempre protagonista della scena sociale, sembra nascosta. Perché? Uomini impauriti, senza sogni, inerti.

Che succede agli uomini? Mentre psicologi e sociologi divagano sulle più svariate teorie, mancava ancora uno sguardo dal basso fatto di storie e racconti di donne che da anni parlano della scomparsa del maschio (“o sono gay o sono impegnati”, “non si trova più un uomo decente”). L’uomo è assente, incapace di trovare una collocazione sociale, massacrato dal lavoro, frustrato nelle sue aspirazioni, in crisi sessuale...

Anche in questo nuovo libro Perotti centra un argomento scottante del nostro tempo e, direi, del nostro Paese. Un libro sugli uomini e sul mondo maschile sempre più frustrato e depresso, incapace di decisione e fagocitato dal quotidiano, scritto sulla base delle testimonianze del gentil sesso, che reclama a gran voce l'assenza di uomini con la U maiuscola. Da leggere. Consigliato soprattutto ai maschietti.

“Per parlare degli uomini, oggi più che mai, occorre ascoltare le donne, farsi raccontare le loro disavventure, sfidando le leggi della riservatezza e della buona educazione.”  (Simone Perotti) 

giovedì 31 gennaio 2013

Dura la vita dei libri nel Paese delle Banane

Un italiano su quattro nell'ultimo anno non ha letto neanche un libro e quattro su cinque ignorano gli eBook. A confermare la poca affezione, nel nostro Paese, per la lettura è il Rapporto Italia 2012 che l'Eurispes ha diffuso oggi.

Il 22,9% degli intervistati, dunque, afferma di non aver letto nessun libro nel corso dell'ultimo anno e fra chi ha invece risposto positivamente, il 77,1% del campione, prevale chi ha letto da 1 a 3 libri (35,9%). Il 16,9% ne ha letti da 4 a 6. L'11,1% da 7 a 12, il 13,1% piu' di 12. La quota di donne che non leggono mai durante l'anno è decisamente più contenuta rispetto a quella maschile: 16,2% contro 29,9%.

A differenza poi di quanto avviene per i quotidiani, al cui scarso consumo supplisce parzialmente una crescente lettura della loro versione online, neanche le nuove tecnologie sembrano spingere gli italiani alla lettura: la larghissima maggioranza degli intervistati, l'80,3%, ignora infatti gli eBook.

fonte: AdnKronos

martedì 22 gennaio 2013

Dimmi che comodino hai e ti dirò chi sei

Se è vero che tutto ciò che ci circonda rispecchia il nostro modo di essere, il nostro quotidiano, il nostro umore, la stanza più intima della casa riflette la nostra anima, la parte più profonda del nostro "io".
Ed ecco che la camera da letto e - nello specifico - il comodino, rappresenta effettivamente ciò che noi siamo.

Ma com'è che siamo esattamente? Equilibrati, incasinati, pignoli, ordinati, perfezionisti, lineari, puliti, pigri, impazienti, smemorati, ritardatari?
Un'occhiata al nostro comodino (ma anche a quello del/la partner, del/la figlio/a) basterà per farcene un'idea.

Questo è il mio. A voi le conclusioni...

Mi piacerebbe ora sapere però come sono i comodini di chi segue questo blog.
Ogni vostra foto verrà ripubblicata, creando un post a sé e permettendo così a tutti - in un simpatico gioco - di "conoscerci".

martedì 1 gennaio 2013

Aiuto, sbarcano i cannibali che ci mangiano la lingua

Non sprechiamo passione civile, di cittadini, per l'Italia che muore per abdicazione alla lingua, al suo corretto uso. Non per politica scellerata, non per diritto imbrattato di crimine, non per sventure e colpe economiche: quella che viviamo è morte di una nazione che arriva con sanguinosi sforzi all'unità linguistica, in cui tutto esiste e consiste, l'ha buttata, la sta buttando ogni giorno, nelle pattumiere, nelle discariche, nelle latrine...
Poiché ne porto, per mia sventura, il lutto, e lo grido dalle colonne di un giornale, vuol dire che di passione civile non mi sono ancora sbarazzzato del tutto. Ma lo vorrei: perché la passione civile, in Italia, è un malvivere e un mal-di-vivere di troppo...
Lode su tutti gli altari alla lingua di Shakespeare e della Bibbia di Re Giacomo, di Lewis Carroll e di Herberte Geroge Wells, di Malthus e di Keynes, ma dev'essergli contrastata e in tutti i modi ostacolata la penetrazione irresistibile, la pervasività insolente qui dove gloves vorrebbero essere guanti, shoes scarpe, entrance spiccante sulle porte di tutti gli autobus offende l'intelligenza comune...

L'anglomania teleguidata lavora a macchia d'olio su quasi tutto il linguaggio bancario e finanziario. Inglese è già tutta l'espressione informatica, a partire dalla parola stessa. Come un'ideologia totalitaria morbida, l'inglese a poco a poco va imponendo il suo dominio sull'insegnamento scolastico, dalle elementari, dov'è un aggravamento inutile per menti verdi, ai corsi universitari politecnici, le lezioni più importanti impartite direttamente in inglese sono per la lingua patria come una marcatura veterinaria su un animale da macello. Autorizzarli è un gesto di dispregio che ci disonora...

Se si debba o no studiare l'inglese, ovvia è la risposta: va studiato bene e non con corsi celeri più una settimana di turismo. Bisogna impararlo bene per patrimonio mentale e per dargli la caccia meglio dove insidia lingua europee che non ne sono da meno...

fonte: Guido Ceronetti @ La Stampa di ieri - lunedì 31 dicembre 2012

Vuoi la promozione? Esercitati nel tuo lavoro

Con l'arrivo del nuovo anno - e con esso l'onda inevitabile di progetti di auto-miglioramento - abbiamo individuato 10 strategie per far crescere la vostra carriera nel 2013.

Da come attivarsi per rimediare ad un errore fatto in ufficio a come imparare per guadagnare come il signor (o la signora) Bellezza, questa lista di dieci spunti (elaborata dal Wall Street Journal) offre consigli da mettere in pratica ogni giorno, su cosa fare e come farlo. E ottenere così la tanto desiderata promozione...

read more @ Wall Street Journal


lunedì 10 dicembre 2012

"... quei fascicoli di carta che schiere sempre più esigue di anziani acquistano in strani luoghi chiamati edicole..."



State leggendo questo articolo in un vuoto etico o su virtuosa carta? La definizione che Lord Leveson dà di Internet come "vuoto etico" è uno dei pochi passi falsi del suo poderoso rapporto sullo stato della "stampa" britannica, come ancora la chiamiamo, alla Gutenberg. Internet non è un vuoto etico bensì un campo di battaglia etico. Nelle sue steppe virtuali infuria oggi una delle massime lotte di potere del nostro tempo. Il destino dei regimi autoritari come la Cina, e quindi il futuro della libertà, dipenderanno dall'esito di questa battaglia.

Su questo sfondo la piccola battaglia locale che si svolge in Gran Bretagna su quei fascicoli di carta che schiere sempre più esigue di anziani acquistano in strani luoghi chiamati edicole potrebbe sembrare un episodio dell'amatissima vecchia serie tv Dad's Army, ambientata nella seconda guerra mondiale. Ma l'idea che tutto ormai si trovi in rete è completamente sbagliata e fornisce ai giornali scandalistici come il Sun di Rupert Murdoch la scusa ipocrita di mantenere le loro vecchie brutte abitudini. Leveson osserva che il Sun ha giustificato la pubblicazione di foto nude del principe Harry che fa baldoria a Las Vegas titolando "Ecco le foto di Harry nudo che avete già visto su Internet" e poi "Noi lottiamo per la libertà di stampa". Se esistesse il Nobel per le fandonie andrebbe al Sun, come le elezioni del 1992, secondo un famoso titolo della stessa testata.

In sintesi l'etica del buon giornalismo e la prassi della buona autoregolamentazione indipendente dovrebbero e potrebbero coincidere online e sulla carta stampata. Dopo tutto, perché le parole che state leggendo in questo momento dovrebbero essere vagliate, soppesate o trattate diversamente solo in base alla forma in cui le vedete? Ovviamente Internet ha aperto nuove grandi sfide. Su alcune si dibatterà in modo acceso questa settimana in occasione della Conferenza Mondiale della Tecnologia dell'informazione organizzata a Dubai, Emirati Arabi Uniti, dall'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, un organismo Onu. La federazione degli emirati del Golfo ha varato recentemente un decreto che rende punibile con un minimo di tre anni di carcere l'utilizzo di un sito web o di qualunque altro mezzo informatico al fine di "irridere o danneggiare la reputazione o la levatura dello stato o di qualunque sua istituzione", e in tali "istituzioni" vanno inclusi i governanti degli emirati, i loro vice e i principi ereditari. Proprio il posto adatto per ospitare una conferenza sulla regolamentazione di Internet...

fonte & read more @ La Repubblica.it

Madame Sbatterflay e gli altri "paesi bassi"

"Non ci resta che ridere, care Madame Sbatterflay. Anche se lo spread sale e il Walter scende, e a noi rimane solo il bandolero stanco, il nostro bell'addormentato nei boxer. Anche se in tempi di vacche magre (beate loro!), i politici fanno a gara a chi la combina più grossa, se Emi(nens) non paga l'Imu, il Berlu alza i tacchi, e l'uomo del Monti dice no. Se siamo passati dall'onorevole Bocchino all'onorevole Passera. Se certa gente non sa più cosa inventarsi: lo scalda-walter e il pisciavelox, i preservativi firmati e il certificato di garanzia per la Jolanda. Se Belén va con Belìn, Carla è sempre più snob e George Clooney sempre più tronco di pino."

Ci deve essere un motivo per cui Luciana Littizzetto è la comica più letta d'Italia. Forse perché nessuno, come lei, riesce a mettere a fuoco i nostri grandi difetti e le nostre piccole debolezze. Perché nei suoi monologhi sono ugualmente nudi il re e tutti i suoi sudditi. Perché, anche in questo nuovo libro, parlando della Jolanda e degli altri paesi bassi, crea una visione del mondo (una walterschauung) tutta sua, capace di compiere un miracolo: farci divertire anche quando non c'è proprio niente da ridere.

Già, ridere. Ai tempi della crisi un’impresa non facile, ma è una scommessa già vinta se a cimentarsi nella difficile tenzone è la Luciana nazionale: l’autrice e attrice più irriverente del momento, ancora una volta usa la sua graffiante ironia contro i personaggi che popolano, a vario titolo, le pagine dei giornali e le trasmissioni televisiva del nostro tempo, divertendo il lettore e facendo dimenticare, almeno per un po’, i problemi che ci perseguitano.

lunedì 3 dicembre 2012

Don Abbondio? Il nemico di Peppone. Un italiano su 2 bocciato all'esame di letteratura

La Musa di Dante? La Monna Lisa. Il deserto dei Tartari? Una marca di dentifricio. Italia, paese di santi, poeti e navigatori…ma non di esperti di letteratura. Interrogati su autori, romanzi e personaggi della tradizione letteraria nazionale e mondiale, un italiano su due (51%) risponde in maniera errata. Gli errori più grossolani? Un italiano su 4 (25%) pensa che Don Abbondio sia il nemico di Peppone, mentre più di uno su 3 (37%) crede che Pinocchio sia stato scritto da Walt Disney. Se il patrimonio letterario italiano è uno dei fiore all’occhiello dell’eccellenza artistica italiana all’estero, gli abitanti del Belpaese dimostrano, purtroppo, di non conoscere a fondo questo immenso patrimonio. E’ quanto emerge da uno studio promosso da Libreriamo, condotto tramite monitoraggio web su circa 5.000 utenti di blog, forum e community, per capire quanto gli italiani siano ferrati in ambito letterario.

ABITUDINE ALLA LETTURA IN CALO - La poca conoscenza circa autori, libri e romanzi del panorama culturale italiano e mondiale, è frutto anche del sempre minor numero di lettori in Italia. Secondo i dati del Rapporto sull'editoria in Italia, a cura dell'Ufficio studi AIE e presentato lo scorso ottobre alla Fiera di Francoforte, il mercato del libro in Italia, che nel 2011 aveva avuto un -3,7% nel giro d'affari, nei primi nove mesi del 2012 peggiora ottenendo un -8,7%, con l’abitudine alla lettura che, per la prima volta dal 2007, cala vistosamente, con 25,9 milioni di italiani che leggono almeno un libro (723 mila meno del 2010).

COSA DICONO GLI ITALIANI - Italia, la patria di Dante e Petrarca, di Manzoni e Pirandello. Sarà anche terra di esperti di letteratura? Ben 6 italiani su 10 (63%) affermano di conoscere alla perfezione le più importanti opere letterarie, specificando di sapere tutto circa autore, trama e personaggi. Il 28% ammette invece di conoscere la storia di alcuni romanzi ma nella maggior parte dei casi di non saper risalire all’autore o al periodo storico nel quale è stato realizzato. Mentre il 7% ammette di conoscere solo le opere più famose.

DON ABBONDIO? IL NEMICO DI PEPPONE - Italiani, quindi, esperti di letteratura? Abbiamo voluto verificarlo sul campo, chiedendo alla gente se conoscesse alcuni personaggi, autori e romanzi famosi. Alla domanda “Chi era Don Abbondio?” Solo la metà (51%) è riuscita a dare la risposta giusta, affermando che si tratta del curato protagonista dei Promessi Sposi, incaricato di sposare Renzo e Lucia. Altri (25%) lo hanno confuso con l’antagonista principale di Peppone, il Don Camillo nato dal genio di Giovannino Guareschi.

CANTICO DEI CANTICI E MALAVOGLIA - Alla domanda su “Cos’è il Cantico dei Cantici?”, per la maggioranza (54%) si tratta di poesia di San Francesco, confondendola quindi con il “Cantico delle Creature” il testo poetico più antico della letteratura italiana, mentre solo il 34% ha risposto esattamente, definendolo il libro contenuto nell’Antico Testamento della Bibbia. Altra gaffe clamorosa riguarda i Malavoglia; se il 43% risponde esattamente, riconoscendo che si tratta della famiglia di pescatori protagonista dell’omonimo romanzo di Giovanni Verga, il 33% li confonde con i Malatesta, la nobile famiglia italiana che dominò la Romagna dal 1295 al 1528. Altri, addirittura, credono che si tratti semplicemente di un espressione comune per indicare persone svogliate e pigre (21%).

PINOCCHIO? SCRITTO DA WALT DISNEY - Chi scrisse Pinocchio? Forse questo è l’errore più clamoroso. Secondo quasi 6 italiani su 10 (58%) si tratta di un personaggio ideato dal “papà di Topolino” Walt Disney, il quale in realtà ha soltanto prodotto nel 1940 il film d’animazione, basato sul romanzo di Carlo Collodi, riconosciuto come il creatore del burattino di legno dal 33% degli italiani. Chi è Alexandre Dumas? Solo il 34% riconosce che si tratta di un autore francese, celebre per aver scritto I tre moschettieri, mentre il 24% ritiene che si tratti di un allenatore portoghese ed il 18% lo confonde addirittura con un attore francese.

DANTE? GUIDATO DALLA MONNA LISA - Quale figura femminile guida Dante attraverso i nove cieli del Paradiso? Se la maggioranza risponde esattamente con Beatrice (64%), altri confondono la donna amata dal sommo poeta con Penelope (21%), la moglie di Ulisse di cui si parla nell’Odissea, e addirittura con la celebre Monna Lisa (13%). Cos’è il “Deserto dei Tartari”? Se la maggioranza (41%), riconosce che si tratta di un libro di Dino Buzzati, altri ritengono che sia semplicemente un area geografica (31%), o che addirittura si tratti di una marca di dentifricio (12%).

fonte: Libreriamo.it

domenica 2 dicembre 2012

Oliver Sacks: "I miei viaggi con l’Lsd"

L’arte, il folklore, forse anche la religione, sono frutto di allucinazioni? Viene naturale chiederselo, sentendo il dottor Oliver Sacks che presenta il suo nuovo libro, "Hallucinations" (Knopf). Una collezione di vicende personali, visite con pazienti, storie di personaggi famosi come gli scrittori Lewis Carroll e Dostoevskij, che riconducono quasi tutte allo stesso punto di partenza: le allucinazioni sono porte aperte sul paradiso, o fenomeni che la scienza può perfettamente spiegare?

Sacks, diventato famoso in tutto il mondo con il libro e il film Risvegl, insegna ancora neurologia a New York. Sale sul palco con una bottiglietta piena di un liquido trasparente, che ogni tanto sorseggia. Non a caso, comincia raccontando i fatti propri.

«Alla mia età, quasi ottant’anni, non c’è più ragione di nascondere le cose. Perciò ho deciso di rivelare anche gli esperimenti personali che ho fatto con gli allucinogeni. Negli Anni Sessanta, quando lavoravo in California, dedicavo i weekend a questi viaggi. Prendevo un po’ di anfetamine, a cui penso di essere stato dipendente, un poco di Lsd, e ci aggiungevo una spruzzata di cannabis, tanto per rendere più piacevole l’effetto. La sensazione era magnifica. Ricordo che una volta, presa questa miscela, mi dissi: adesso voglio vedere il colore indaco, proprio ora. Partii immediatamente per un viaggio, che mi mostrò un capolavoro cromatico che nemmeno Giotto era mai riuscito a realizzare. Ho provato molte volte a replicare quell’esperienza nella realtà, e forse ci sono riuscito una volta, durante un concerto nelle sale della collezione egizia al Metropolitan Museum. Nulla, però, mi ha più dato le stesse emozioni che avevo provato con gli allucinogeni».

Perché ha smesso?
«Avevo usato anche le iniezioni di morfina, e ho avuto paura di diventare tossicodipendente».

Le sue allucinazioni erano indotte da queste sostanze. Quali sono stati, invece, gli episodi professionali che l’hanno colpita di più?
«Due colleghi, neurochirurghi, che a causa di incidenti diversi avevano sperimentato allucinazioni e cambiamenti di personalità. Uno aveva scoperto la musica classica, si era innamorato di Chopin, e aveva iniziato a comporre. L’altro aveva scoperto Dio. Il primo venne da me e mi disse: so che sono diventato una persona diversa, analizza il mio cervello per capire cosa è successo. Il secondo, invece, mi spiegò che secondo lui Dio gli parlava direttamente, senza fare uso del suo cervello».

Perché li considera episodi così importanti?
«Posso capire che una persona soggetta alle allucinazioni pensi di entrare in contatto con il divino, e lo accetto. Ma un neurologo che nega l’utilità del cervello per percepire certe esperienze, e sostiene che Dio gli infonde direttamente le sue sensazioni, è una negazione della scienza che mi lascia molto perplesso».

Non accetta la dimensione divina di questi fenomeni?
«Dostoevskij era epilettico, e sosteneva di aver visto Dio, durante uno di questi attacchi. In seguito cambiò idea. Quasi tutte le persone che hanno avuto esperienze extracorporali, in coma o vicino alla morte, le descrivono nella stessa maniera: buio e paura, poi una luce viva che li attrae, e la sensazione di compiere un viaggio che li porta in un luogo identificabile con il paradiso. Poi il ritorno, anche se alcuni sostengono di essere entrati effettivamente nel paradiso, e aver percepito la gioia della completa comunione con Dio. Capisco questi fenomeni, anche se la scienza è in grado di spiegarli con varie cause: l’assunzione di sostanze, la cecità, la febbre, le malattie, la mancanza di sonno, incidenti e traumi di vario genere. Fatico però a comprendere uno scienziato che nega se stesso, e va contro le sue conoscenze più radicate e dimostrate».

Lei ha accennato a Dostoevskij, e nel libro parla anche di arte e altri aspetti della cultura umana legati alle allucinazioni. Quanto è forte questo legame?
«In alcuni casi è molto intenso. Lewis Carroll soffriva di emicrania, ed è lecito pensare che alcune visioni di Alice nel Paese delle meraviglie siano state ispirate da questa sua condizione. Però un conto è l’ispirazione artistica, e un altro la rivelazione religiosa: la capisco, nel caso delle allucinazioni, ma la scienza non la prova e io resto un ateo convinto».

Quale consolazione le rimane, se tutte le esperienze del nostro cervello sono solo frutto di combinazioni chimiche?
«Io traggo le mie gioie dalle espressioni della cultura umana, la musica in particolare: quella di Mozart mi trasporta e penso che sia paradisiaca. Anche la scienza mi dà alcune soddisfazioni. Però non credo nell’immortalità e penso che, se esistesse, farebbe un grave danno al genere umano. Io mi accontento di vivere ancora qualche anno in buona salute, per provare ancora le mie gioie, e poi togliere il disturbo».

fonte: La Stampa.it

sabato 24 novembre 2012

Due miliardi di euro per la cultura buttati via

I 2 miliardi di euro del “Programma Attrattori Culturali 2007-2013”, destinati a migliorare l’offerta culturale nelle Regioni del Sud, non sono stati spesi e dovranno essere restituiti a Bruxelles. A questi si aggiungono gli 1,5 miliardi di fine 2011. Uno spreco, proprio mentre il nostro patrimonio cade a pezzi.

Un miliardo e mezzo di euro destinati alla cultura italiana sono già rientrati nelle casse di Bruxelles, e altri due sono sulla buona strada. Sono le risorse del “Programma Attrattori Culturali 2007-2013”, che – a dispetto del nome – non sono mai state impegnate operativamente, nonostante gli innumerevoli progetti stilati in questi anni, tutti rimasti sulla carta. Si tratta dei cosiddetti Poin e Pain, acronimi che indicano i programmi operativi e attuativi interregionali per il Sud, cioè «lo strumento principale attraverso cui promuovere e sostenere lo sviluppo socio-economico delle Regioni del Mezzogiorno attraverso la valorizzazione, il rafforzamento e l’integrazione su scala interregionale del patrimonio culturale, naturale e paesaggistico in esse custodito».

Obiettivi per realizzare i quali l’Europa aveva previsto «una dotazione complessiva di circa 2 miliardi di Euro, di cui una quota di poco superiore al miliardo di euro (1.031 M€) a valere sui fondi strutturali del FESR e del relativo cofinanziamento nazionale ed una leggermente inferiore (898 M€) resa disponibile dalle risorse aggiuntive della programmazione nazionale del Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS)», come si legge sul relativo sito. Fondi che non solo non sono stati spesi, ma sono stati riallocati per finanziare altre voci di spesa che non c’entrano nulla con la cultura...

fonte & read more @ Linkiesta

domenica 18 novembre 2012

Beata (italiana) ignoranza

Costituzione Italiana
 
Art. 9
 
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura
e la ricerca scientifica e tecnica.
 
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
 
 

lunedì 12 novembre 2012

Ecco come ti fabbrico il falso papiro sulla "moglie" di Gesù

Ricordate il «Vangelo della moglie di Gesù»? Un paio di mesi fa la professoressa Karen King, della Harvard Divinity School, presentò con grande clamore mediatico la scoperta di un piccolo frammento di papiro del IV secolo in lingua copta nel quale a Gesù venivano attribuite le parole «mia moglie». La sua tesi - scritta in un articolo che verrà pubblicato in gennaio nella rivista teologica della prestigiosa università americana - era che si tratterebbe di un nuovo Vangelo apocrifo che testimonierebbe come il celibato di Gesù fosse un tema discusso nelle comunità cristiane dei primi secoli.

Fin da subito - come raccontato da VaticanInsider - c'era stato anche chi aveva messo in dubbio l'autenticità del frammento, notando una serie di stranezze. Ora però Andrew Bernhard, uno studioso dei Vangeli antichi formatosi a Oxford, si spinge molto più in là spiegando come secondo lui «questo falso» sarebbe stato fabbricato. Bernhard sostiene infatti che si tratti di una combinazione molto grossolana di alcune frasi prese dal Vangelo di Tommaso, il Vangelo (apocrifo) copto ritrovato nel 1945 tra i papiri di Nag Hammadi, in Egitto. E aggiunge di aver addirittura individuato una serie di coincidenze tipografiche sospette con la traduzione interlineare copto-inglese di quel testo, curata da Michael Grondin e consultabile da chiunque on line.

In uno scritto intitolato «Note sulla contraffazione del “Vangelo della moglie di Gesù”», Andrew Bernhard spiega che le parole contenute nel nuovo frammento sono tutte presenti nel Vangelo di Tommaso. A parte un'unica eccezione: l'espressione copta che significa appunto «mia moglie», attribuita a Gesù. Non solo: nel frammento scoperto da Karen King le parole compaiono spesso anche nello stesso ordine. E ogni linea di testo del «Vangelo della moglie di Gesù» è composta da parole copte che si trovano nella stessa pagina nella traduzione copto-inglese citata del Vangelo di Tommaso: comporle insieme - sostiene Bernhard - non comporta nemmeno molta fatica. In pratica - continua lo studioso di Oxford - una volta inserita l'espressione «mia moglie» - basta prendere alcune frasi dell'altro testo, cambiare qualche maschile in femminile o qualche negazione in affermazione e si ottiene il nuovo Vangelo rivoluzionario. E a riprova di questa tesi cita il fatto che nel frammento comparirebbe addirittura un errore tipografico che si trova pari pari nel volume curato da Michael Grondin.

Quanto infine all'espressione copta «mia moglie», si tratta comunque di una parola copta di sei lettere facilmente combinabili. Che - osserva sempre Bernhard - per una singolare coincidenza si trova molto vicino al centro del frammento. Quasi a voler essere proprio sicuri che non passi inosservata.

fonte: Giorgio Bernardelli - Vatican Insider @ La Stampa.it

giovedì 1 novembre 2012

Arrivano le "50 smagliature di Gina"

Le "50 sfumature di grigio" impazzano in classifica, Hollywood prepara il film e in Italia si moltiplicano i libri che ironizzano sulla relazione dei due protagonisti della trilogia bestseller di E.L. James.

Così dopo il successo di "Cinquanta sbavature di Gigio", arriva in libreria "Cinquanta smagliature di Gina", scritto da Rossella Calabrò e edito da Sperling & Kupfer all'insegna dell'autoironia.

Farà ridere, promette l'autrice, tutte le donne delle loro paturnie sia estetiche sia affettive.

fonte: Ansa