Recentemente scomparso, Robert Frank è considerato uno dei più influenti fotografi contemporanei. Il suo libro «The Americans», «scritto» con uno stile rivoluzionario che cambiò il modo di vedere il reportage, è tuttora uno dei progetti più significativi della fotografia mondiale. La biblioteca civica «Bruno Emmert» di Arco propone sabato 30 novembre «Fotografia, istruzioni per l’uso», serata in cui Sandro Iovine leggerà le 83 immagini che compongono il testo di un’opera memorabile. Inizio alle ore 20.45, ingresso libero.
Lo scrittore, poeta e pittore statunitense Jack Kerouac, di lui e del suo libro scrisse: «Quella folle sensazione in America, quando il sole picchia forte sulle strade e ti arriva la musica di un jukebox o quella di un funerale che passa [....] Robert con l'agilità, il mistero, il genio, la tristezza e lo strano riserbo d'un ombra ha fotografato scene mai viste prima su pellicola [...] se non ami la poesia vai a casa e guarda la tv...».
Chi è Robert Frank?
Scomparso il 10 settembre 2019, di lui, nella storia della fotografia, rimarranno soprattutto 83 immagini scattate durante il suo audace viaggio attraverso l’America degli anni Cinquanta. Un viaggio che Robert Frank si finanzia con la borsa di studio annuale dalla Fondazione Guggenheim di New York che, primo fotografo europeo, vince nel 1955. Sintesi delle migliaia di scatti che colleziona a cavallo di un’automobile scassata, con in mano un Leica più volte usata, quelle 83 immagini compongono il libro «The Americans», pubblicato negli Stati Uniti nel 1959, dopo l’edizione francese «Les Américains» uscita l’anno precedente a Parigi. È il lavoro con cui Robert Frank rende celebre la sua arte. Naturalizzato statunitense, Frank nasce nel 1924 a Zurigo da madre svizzera e da padre tedesco di origini ebraiche. Cresce in Svizzera, nella sua giovinezza vive la minaccia del nazismo e, sfiorato dalla Shoah, sviluppa una sua particolare comprensione per gli oppressi Appassionato, intraprendente, fuori dagli schemi, diventa un’icona della fotografia del Novecento, secolo del quale sperimenta buio e opportunità. Emigra a New York all’età di 23 anni, nel 1947, dove ottiene un lavoro come fotografo di moda per tutte le maggiori testate internazionali, ma è viaggiando, fra Europa e Sud America, che esprime la sua vera passione: il reportage fotografico. Negli anni Cinquanta, sempre negli Stati Uniti, incontra vari esponenti della Beat Generation, con cui condivide parte del suo percorso. Fra questi, il poeta Allen Ginsburg e lo scrittore Jack Kerouac, che scrive l’introduzione di «The Americans» e che rimarrà suo amico per tutta la vita. Negli anni Sessante si dedica al cinema e diviene regista. La vita di Frank è segnata altresì da tragedie personali. Sua figlia Andrea e suo figlio Pablo muoiono in circostanze drammatiche. Dopo la morte di Andrea si dedica di nuovo alla fotografia, creando immagini tramite collage e incisioni sulla pellicola. Nel 1994 dona gran parte del suo materiale artistico, fra cui le preziose migliaia di foto “scartate” da The Americans, alla National Gallery of Art di Washington. Nel 1995 apre la Fondazione Andrea Frank per erogare borse di studio agli artisti. Riceve nell’arco della sua carriera prestigiosi premi e riconoscimenti, fra cui l’Hasselblad Award nel 1996 e il Cornell Capa Award nel 2000. Una sua retrospettiva, organizzata a Londra nel 2004 alla Tate Modern Gallery, fa il giro del mondo.
Chi è Sandro Iovine?
Giornalista, critico fotografico, è nato nel 1961 a Roma. Dal 1989 al 1998 è stato redattore presso la Editrice Reflex, prima di trasferirsi a Milano dove, dal 1999 al 2014, ha diretto la rivista Il Fotografo. Ha insegnato storia della fotografia a Roma all’ISFCI e dal 2003 fotogiornalismo e comunicazione visiva alla John Kaverdash Accademia di Fotografia. Ha tenuto master alla MIFAV-Università di Tor Vergata (di cui ha condiretto l’organo di stampa F&D) e nelle università di Bologna, Bergamo, Insubria, Palermo, Pavia, Perugia e Siena. Ha collaborato con Rai Radio Uno, Rai Radio Tre, Radio 24 e Radio Svizzera Italiana, Paese Sera, Avvenimenti, Il Giornale di Napoli, Il Manifesto. Ha creato e diretto a Roma lo spazio Centro Fotogiornalismo. Nel 2011 è stato curatore della sezione fotografia di Roma Provincia Creativa e fa parte del comitato di valutazione all’interno del progetto Eyes in Progress. Nel 2007 ha creato il blog «Fotografia: parliamone!» Attualmente dirige la rivista FPmag.
... dalla Divina Commedia ad Harry Potter, passando per Gutenberg, gli e-books, i social-media, la grammatica italiana e le recensioni, la poesia e i classici, la letteratura per i bambini di ieri, oggi e domani, la fotografia e l'arte, le nuove forme di comunicazione... e giù giù fino all'editoria, alle biblioteche, agli incipit, agli appuntamenti letterari, alle mostre, alle novità, agli esordienti. Per i quali - non lo nego - ho un debole...
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mercoledì 27 novembre 2019
In biblioteca, la fotografia di Robert Frank letta da Sandro Iovine
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lunedì 12 novembre 2018
Kastellorizo, una mostra fotografica e i ringraziamenti di Salvatores per "L'Isola dell'Oblio" di Davide Pivetti
Sta destando curiosità la mostra fotografica "L'Isola dell'Oblio" ospitata in questi giorni alla galleria "Craffonara" di Riva del Garda (TN) dedicata alla piccola isola greca di Kastellorizo e al film Premio Oscar nel 1992 "Mediterraneo" (per la regia di Gabriele Salvatores; tra gli interpreti, Diego Abatantuono, Claudio Bisio, Claudio Bigagli, Ugo Conti, Giuseppe Cederna, Antonio Catania, Gigio Alberti ecc.).
La rassegna realizzata dal giornalista rivano Davide Pivetti - 40 immagini inedite e altrettanti brani dal copione originale del film - è stata inaugurata sabato 3 novembre alla presenza di un buon pubblico fatto di cinefili, "grecofili" e soci del circolo culturale "La Firma" che ospita l'iniziativa. Tra i presenti anche appassionati da altre regioni, l'amore per la minuscola e quasi sconosciuta isola greca è più diffuso di quanto si pensi.
Trecento le persone che hanno visitato la mostra nella prima settimana di apertura, nonostante maltempo e bassa stagione. Una curiosità, figlia del mondo social in cui anche gli eventi culturali sono ormai immersi: via Instagram è infatti arrivato un breve messaggio dal registra Gabriele Salvatores, autore del film, che ringrazia per l'iniziativa rivana anche "a nome dell'isola a importanza strategica zero", citando copione del film e sottotitolo della mostra.
L'allestimento si è arricchito di un'installazione con tre opere di Franco Pivetti ("La Grecia in tre vasi") interpretazione moderna dell'arte classica greca. E' la prima volta che padre e figlio partecipano ad un evento assieme.
"L'Isola dell'Oblio" resta visitabile fino al 28 novembre, tutti i giorni (10-12.30 e 14.30-17) ad ingresso libero.
La rassegna realizzata dal giornalista rivano Davide Pivetti - 40 immagini inedite e altrettanti brani dal copione originale del film - è stata inaugurata sabato 3 novembre alla presenza di un buon pubblico fatto di cinefili, "grecofili" e soci del circolo culturale "La Firma" che ospita l'iniziativa. Tra i presenti anche appassionati da altre regioni, l'amore per la minuscola e quasi sconosciuta isola greca è più diffuso di quanto si pensi.
Trecento le persone che hanno visitato la mostra nella prima settimana di apertura, nonostante maltempo e bassa stagione. Una curiosità, figlia del mondo social in cui anche gli eventi culturali sono ormai immersi: via Instagram è infatti arrivato un breve messaggio dal registra Gabriele Salvatores, autore del film, che ringrazia per l'iniziativa rivana anche "a nome dell'isola a importanza strategica zero", citando copione del film e sottotitolo della mostra.
L'allestimento si è arricchito di un'installazione con tre opere di Franco Pivetti ("La Grecia in tre vasi") interpretazione moderna dell'arte classica greca. E' la prima volta che padre e figlio partecipano ad un evento assieme.
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martedì 30 ottobre 2018
Torna la Biblionotte di Halloween
Dopo il successo della prima edizione, l'anno scorso, torna la Biblionotte di Halloween: mercoledì 31 ottobre a partire dalle 20.45 nella biblioteca civica «Bruno Emmert»di Arco (TN) un laboratorio creativo, letture animate, l'esplorazione delle sale della biblioteca, e a mezzanotte il brindisi con una calda tazza di tisana, prima di infilarsi nel sacco a pelo.
Alle 7 del mattino tutti in piedi per la colazione, e alle 8.30 l'arrivo dei genitori.
La partecipazione è gratuita su prenotazione (telefono 0464 516115). La proposta è rivolta a bambini di età compresa tra i 7 e i 9 anni (dalla seconda alla quarta elementare). Sono richiesti: sacco a pelo, pigiama e ciabatte, tazza e cucchiaino per le bevande (tisana e colazione) e, se gradito, il peluche preferito. Facoltativa la torcia elettrica.
mercoledì 31 gennaio 2018
"L'isola dell'oblio" - con Pivetti alla (ri)scoperta della Megisti di Salvatores
Nel 1992, a Los Angeles, una minuscola e dimenticata isola del Dodecaneso greco, divenne improvvisamente
celebre in tutto il mondo. E' la forza della settima arte, il cinema. Gabriele Salvatores in quell’edizione degli
Academy Awards vinse infatti il Premio Oscar come miglior film straniero con il suo "Mediterraneo", pellicola
interamente ambientata sull'isola di Kastellorizo (o Megisti in greco, Meis in turco, Castelrosso in italiano) la più
lontana e orientale dell'intero territorio greco, geograficamente già in Asia Minore. Merito di una grande
squadra: dal regista ad uno straordinario cast di attori, dalla sceneggiatura di Enzo Monteleone alle musiche di
Giancarlo Bigazzi e alla fotografia di Italo Petriccione.
Ma merito, certamente, anche della rara e singolare bellezza di questa isola remota che è davvero l’avamposto greco ed europeo nel mare nostrum orientale. Quel film è diventato un manifesto culturale per almeno un paio di generazioni di italiani (e non solo visto il successo internazionale che ebbe). I suoi dialoghi, brillanti, sono diventati patrimonio collettivo. Inoltre gli italiani hanno scoperto la Grecia e il piacere della "fuga" sui suoi lidi più remoti. Ma pochi in realtà sono coloro che si sono spinti fin là, che hanno veramente messo piede a Kastellorizo.
Davide Pivetti, giornalista e fotografo trentino, già autore di un
libro dedicato alle isole del Mediterraneo (“Emersioni - Isole di
giovani racconti”) e di una mostra omonima, pochi mesi fa ha
realizzato un progetto cullato da molti anni. Visitare la Megisti di
Salvatores, ritrovare le locations del film, incontrare la gente del
posto che si prestò a fare da comparsa nei due mesi di riprese concluse nell’estate del 1990. Scoprendo che
nonostante i quasi tre decenni trascorsi molti degli aspetti caratterizzanti l’isola si sono conservati. Con qualche
mano di colore in più o in meno rispetto a come fu magistralmente raccontata in quel celebre lungometraggio
dedicato "a tutti quelli che stanno scappando".
Così è nata “L’Isola dell’oblio - Megisti. Importanza strategica zero”. In questa mostra - che ha ricevuto il
Patrocinio del Consolato di Grecia per l’Emilia Romagna ed è arricchita da un’intervista in esclusiva con
l’attore Giuseppe Cederna (l’attendente Antonio Farina del film) - c'è al tempo stesso un racconto di viaggio, la
ricerca di un cinefilo, un reportage giornalistico e la realizzazione del piccolo ma vibrante sogno di un viandante
isolano.
La mostra sarà allestita dal 3 al 25 febbraio 2018 presso il Circolo degli Artisti e Centro studi “Ludovico Muratori” in via Castel Maraldo, 21/A - Modena, con inaugurazione sabato 3 febbraio alle ore 16. Orari di apertura: 16.30 - 19 (chiuso lunedì e martedì). Ingresso: libero.
Ma merito, certamente, anche della rara e singolare bellezza di questa isola remota che è davvero l’avamposto greco ed europeo nel mare nostrum orientale. Quel film è diventato un manifesto culturale per almeno un paio di generazioni di italiani (e non solo visto il successo internazionale che ebbe). I suoi dialoghi, brillanti, sono diventati patrimonio collettivo. Inoltre gli italiani hanno scoperto la Grecia e il piacere della "fuga" sui suoi lidi più remoti. Ma pochi in realtà sono coloro che si sono spinti fin là, che hanno veramente messo piede a Kastellorizo.
La mostra sarà allestita dal 3 al 25 febbraio 2018 presso il Circolo degli Artisti e Centro studi “Ludovico Muratori” in via Castel Maraldo, 21/A - Modena, con inaugurazione sabato 3 febbraio alle ore 16. Orari di apertura: 16.30 - 19 (chiuso lunedì e martedì). Ingresso: libero.
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lunedì 10 aprile 2017
In lungo e in largo per l'Italia - per Panini Comics tornano Asterix e Obelix
Asterix e Obelix sbarcano in Italia, in un'avventura che li porterà in tante regioni del nostro Paese, da nord a sud, ma non a Roma. Accadrà nell'album numero 37, il terzo firmato da Jean-Yves Ferri, autore dei testi, e Didier Conrad, autore dei disegni, di cui sono stati svelati il titolo, Asterix e la corsa d'Italia e l'uscita nel nostro Paese, il 26 ottobre 2017, per Panini Comics nella traduzione di Vania Vitali e Andrea Toscani, nell'ambito della "Fiera del Libro per Ragazzi" di Bologna.
«Ci sarà più humour, più azione. Piacerà soprattutto ai più piccoli. Abbiamo trovato la chiave per visitare più regioni italiane, ma eviteremo Roma. Non necessariamente Asterix e Obelix si scontreranno con i legionari romani anche se nelle regioni li incontreranno. Non sono stato fedele alla storia in modo pedissequo, ho dovuto un po' barare. Ovviamente con Didier abbiamo scelto le città italiane più conosciute all'estero. Facciamo apparire Firenze nel momento dell'antichità romana e c'è anche Venezia in omaggio ad Albert Uderzo che è veneziano», spiega Ferri che ha 57 anni ed è già nonno.
Il terzo album di Ferri e Conrad arriva in un anno speciale, il 2017, in cui Albert Uderzo compie 90 anni e in cui viene ricordato il 40° anniversario della morte di Renè Goscinny, i due grandi maestri creatori del successo francofono e mondiale. «Credo che il pubblico resterà sorpreso e sono convinto che la traduzione italiana potrà giocare sulle inflessioni dialettali dei vari personaggi più di quella francese. Possiamo poi ritradurre l'italiano in francese» dice scherzando Ferri. «È una vera e propria traversata dell'Italia, ma non è stata una scelta facile. L'Italia è un Paese difficile da riassumere, è talmente complessa e ricca che avremmo potuto fare tre album», racconta Didier Conrad. Insomma, in questa scorribanda - che in Francia uscirà il 19 ottobre per Hachette - che riserva molte sorprese, ambientata nel 50 a.C., con Cesare che sogna un'Italia unificata, gli eroi Galli tornano a stupire.

Il terzo album di Ferri e Conrad arriva in un anno speciale, il 2017, in cui Albert Uderzo compie 90 anni e in cui viene ricordato il 40° anniversario della morte di Renè Goscinny, i due grandi maestri creatori del successo francofono e mondiale. «Credo che il pubblico resterà sorpreso e sono convinto che la traduzione italiana potrà giocare sulle inflessioni dialettali dei vari personaggi più di quella francese. Possiamo poi ritradurre l'italiano in francese» dice scherzando Ferri. «È una vera e propria traversata dell'Italia, ma non è stata una scelta facile. L'Italia è un Paese difficile da riassumere, è talmente complessa e ricca che avremmo potuto fare tre album», racconta Didier Conrad. Insomma, in questa scorribanda - che in Francia uscirà il 19 ottobre per Hachette - che riserva molte sorprese, ambientata nel 50 a.C., con Cesare che sogna un'Italia unificata, gli eroi Galli tornano a stupire.
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mercoledì 4 gennaio 2017
"Dove il tempo si ferma. La nuova teoria sui buchi neri" di S. Hawking
Ovvero, "I buchi neri hanno peli soffici!". Nulla di osceno, nell'affermazione di Stephen W. Hawking, che in questo breve saggio tenta di spiegare il percorso effettuato e le teorie avanzate dalla comunità scientifica mondiale sull'affascinante questione dei buchi neri. Grande comunicatore, il fisico inglese più famoso della nostra epoca sale dunque ancora una volta in cattedra con una lezione a prova di "dummies", come nel suo stile. E dove non ci arriva lui, ci pensa David Shukman - responsabile scientifico di BBC News - a tradurre per i profani. In poche parole, al popolino (nel senso vezzeggiativo del termine) cui questo libro è rivolto.
Se vi aspettate risposte, scordatevele. Se pensate di avere tra le mani qualcosa di interessante, magari ad integrazione dell'evergreen e sempre illuminante "Dal Big Bang ai buchi neri" (1988), avete sbagliato libro. Se pensate invece a qualcosa che possa far sorridere, eccovi serviti. Come detto sopra, "Dove il tempo si ferma" è nulla di più, nulla di meno, di un volumetto a prova di "dummies", a mio avviso sprecato da parte di un autore di questo calibro. Unico punto a favore, è semmai la spiegazione - spiccia - dell’evoluzione delle scoperte sui buchi neri, dalle prime ipotesi alle ultime conferme.
Quarta di copertina:
Alla metà degli anni Settanta, Stephen Hawking fece una serie di scoperte inquietanti, secondo cui i buchi neri potrebbero evaporare, o anche esplodere, e distruggere tutta l'informazione della materia caduta al loro interno. I fisici hanno impiegato i successivi quarant'anni a mettere ordine alle conseguenze di questo risultato, finora indimostrato. In queste due lezioni, Hawking ritorna sul tema chiave della sua ricerca per raccontarci qual è il punto della situazione, e cosa rimane da capire sullo spazio, sul tempo, sulla nostra parte nell'universo. "I buchi neri rappresentano una sfida al principio più fondamentale che riguarda la prevedibilità dell'universo e la certezza della storia", scrive. E ci coinvolge nell'ultima puntata di un'appassionata disputa scientifica, iniziata parecchi anni fa, tra la fisica classica della relatività generale e la fisica quantistica.
Quarta di copertina:
Alla metà degli anni Settanta, Stephen Hawking fece una serie di scoperte inquietanti, secondo cui i buchi neri potrebbero evaporare, o anche esplodere, e distruggere tutta l'informazione della materia caduta al loro interno. I fisici hanno impiegato i successivi quarant'anni a mettere ordine alle conseguenze di questo risultato, finora indimostrato. In queste due lezioni, Hawking ritorna sul tema chiave della sua ricerca per raccontarci qual è il punto della situazione, e cosa rimane da capire sullo spazio, sul tempo, sulla nostra parte nell'universo. "I buchi neri rappresentano una sfida al principio più fondamentale che riguarda la prevedibilità dell'universo e la certezza della storia", scrive. E ci coinvolge nell'ultima puntata di un'appassionata disputa scientifica, iniziata parecchi anni fa, tra la fisica classica della relatività generale e la fisica quantistica.
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sabato 2 luglio 2016
Il ritorno a Pineta, con "La battaglia navale" di M.Malvaldi
"Un lavoro d'indagine vero, sul campo, è molto più simile a La battaglia navale. All'inizio spari alla cieca, e non cogli niente, ma è fondamentale che tu ti ricordi dove hai sparato, perché anche il fatto che lì tu non abbia trovato nulla è una informazione". Non lontano dalla casa di Nonno Ampelio, uno dei quattro vecchietti investigatori del BarLume, ci sono i Sassi Amari, il litorale di Pineta. Abbandonato lì, viene trovato il cadavere di una bella ragazza con un particolare tatuaggio. Lei viene presto identificata, dal figlio dell'anziana presso cui lavorava, come la badante ucraina della madre. Le colleghe connazionali si affrettano ad accusare il marito della ragazza, un balordo che la tormentava. E il caso sembra avviato a una veloce conclusione. Tra i Vecchietti serpeggia la delusione. Visto anche che l'indagine è affidata a un altro commissariato, e non all'amica vicequestore, la fidanzata di Massimo il Barrista. Ma è l'ostinazione senile che fornisce alla Squadra Investigativa del BarLume l'intuizione decisiva. E grazie anche all'intermediazione di un altro squinternato, il compagno Mastrapasqua che delle ucraine conosce usi e costumi, il vicequestore Alice Martelli può raddrizzare un'inchiesta cominciata con il piede sbagliato..."
E poi niente. Entrare al BarLume - con Marco Malvaldi - è sempre uno spasso.
E poi niente. Entrare al BarLume - con Marco Malvaldi - è sempre uno spasso.
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martedì 7 giugno 2016
Barbery: gli Elfi son potenti, ma mai quanto il Riccio
Ripresentarsi al pubblico dopo un successo straordinario e inatteso come quello de "L’eleganza del riccio" (e sulla sua scia, il prequel "Estasi culinarie") avrebbe fatto tremare chiunque. Muriel Barbery ha tuttavia lasciato passare nove anni, durante i quali, in silenzio e lontano dai riflettori dei grandi scaffali delle librerie di tutto il mondo, ha scritto "Vita degli elfi", una storia ambientata in vaghi tempi lontani tra animali parlanti e temibili "consigli elfici ristretti". Un romanzo molto diverso da quello di nove anni fa, quasi spiazzante, ricco di personaggi evanescenti, dalla trama lirica, sulla ricerca di ciò che è in grado di incantare in un mondo che sembra aver dimenticato l’esistenza stessa dell’incanto, che racchiude in sé una meditazione poetica sull’arte, la natura, i sogni e il ruolo dell’immaginazione.
La trama
Maria vive in uno sperduto villaggio in Borgogna, dove scopre di avere il dono di saper comunicare con la natura. Centinaia di chilometri più lontano, in Italia, Clara scopre di possedere uno sbalorditivo genio musicale e viene spedita dalla campagna a Roma per sviluppare queste sue portentose abilità. "Vita degli elfi" racconta la storia di due ragazzine in contatto con mondi magici e forze maligne grazie ai loro straordinari talenti. Se, a dispetto di tutti gli ostacoli, riusciranno a unire i loro destini, questo incontro potrebbe cambiare il corso della storia.
A lasciare perplessi non è la trama in sé (la letteratura sul piccolo popolo è vasta, gli amanti del genere a loro volta lo sono) quanto il fatto che, dopo un Riccio a impianto filosofico centrato su problematiche antropo-sociologiche ritenuto così attuale da suscitare l’entusiasmo che tutti ricordiamo, l’autrice abbia scelto di rovesciare la sua scrittura in maniera tanto radicale. Da qui, il passo ad amare o riporre sulla mensola "Vita degli elfi" è dunque fin troppo breve.
Per quel che mi riguarda, il nuovo romanzo di Barbery all'inizio non può che incuriosire ma poi tende a soffocare la trama in un mare di parole di un'enfasi quasi manieristica. Il racconto risulta pertanto opulento, quasi sempre criptico, a volte oscuro, a volte con parvenze di poesia, spesso allusivo. Certamente un lavoro da certosino (il linguaggio usato dall'autrice rimane irraggiungibile ai comuni mortali) ma difficile da classificare; poetico e onirico quanto si vuole, però quanta fatica arrivare alla fine!

Maria vive in uno sperduto villaggio in Borgogna, dove scopre di avere il dono di saper comunicare con la natura. Centinaia di chilometri più lontano, in Italia, Clara scopre di possedere uno sbalorditivo genio musicale e viene spedita dalla campagna a Roma per sviluppare queste sue portentose abilità. "Vita degli elfi" racconta la storia di due ragazzine in contatto con mondi magici e forze maligne grazie ai loro straordinari talenti. Se, a dispetto di tutti gli ostacoli, riusciranno a unire i loro destini, questo incontro potrebbe cambiare il corso della storia.
A lasciare perplessi non è la trama in sé (la letteratura sul piccolo popolo è vasta, gli amanti del genere a loro volta lo sono) quanto il fatto che, dopo un Riccio a impianto filosofico centrato su problematiche antropo-sociologiche ritenuto così attuale da suscitare l’entusiasmo che tutti ricordiamo, l’autrice abbia scelto di rovesciare la sua scrittura in maniera tanto radicale. Da qui, il passo ad amare o riporre sulla mensola "Vita degli elfi" è dunque fin troppo breve.
Per quel che mi riguarda, il nuovo romanzo di Barbery all'inizio non può che incuriosire ma poi tende a soffocare la trama in un mare di parole di un'enfasi quasi manieristica. Il racconto risulta pertanto opulento, quasi sempre criptico, a volte oscuro, a volte con parvenze di poesia, spesso allusivo. Certamente un lavoro da certosino (il linguaggio usato dall'autrice rimane irraggiungibile ai comuni mortali) ma difficile da classificare; poetico e onirico quanto si vuole, però quanta fatica arrivare alla fine!
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giovedì 11 febbraio 2016
Harry Potter: la saga continua con l'ottavo volume
La saga di Harry Potter non si ferma al capitolo 7 e vede un maghetto adulto. Il 31 luglio 2016 uscirà l'ottavo volume 'Harry Potter and the Cursed Child' (Harry Potter e il bambino maledetto), sceneggiatura dell'omonimo spettacolo teatrale scritto dalla Rowling con Jack Thorne, che debutterà a Londra il 30 luglio per la regia di John Tiffany.
La pubblicazione del sequel, in due tomi, è stata annunciata dalla casa editrice americana Scholastic: "sarà nelle librerie alla mezzanotte del prossimo 31 luglio per il compleanno di Harry Potter e di JK Rowling" che compie gli anni lo stesso giorno del maghetto. Negli Stati Uniti e in Canada uscirà per Scholastic e nel Regno Unito per Little Brown. L'editore italiano della Rowling è Salani che al momento non ha ancora annunciato la data d'arrivo nelle nostre librerie. La versione digitale uscirà in contemporanea sul sito Pottermore.
fonte: Ansa
La pubblicazione del sequel, in due tomi, è stata annunciata dalla casa editrice americana Scholastic: "sarà nelle librerie alla mezzanotte del prossimo 31 luglio per il compleanno di Harry Potter e di JK Rowling" che compie gli anni lo stesso giorno del maghetto. Negli Stati Uniti e in Canada uscirà per Scholastic e nel Regno Unito per Little Brown. L'editore italiano della Rowling è Salani che al momento non ha ancora annunciato la data d'arrivo nelle nostre librerie. La versione digitale uscirà in contemporanea sul sito Pottermore.
fonte: Ansa

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martedì 9 febbraio 2016
Dopo nove anni, la Barbery torna a stupire con "Vita degli elfi"
Il commovente e sentitissimo omaggio al potere della natura e dell’arte di una delle autrici più amate al mondo.
Nove anni dopo la pubblicazione del bestseller "L'eleganza del riccio" la scrittrice francese Muriel Barbery ci sorprende ancora, sconfinando nel fantasy con "Vita degli elfi", un romanzo onirico che è una riflessione sull'incanto della bellezza minacciata dalle miserie umane e una meditazione affabulatoria sulla potenza della narrazione, l'unico fattore, sostiene uno dei personaggi, in grado di cambiare il reale.
Un romanzo molto diverso, lirico, sulla ricerca di ciò che è in grado di incantare in un mondo che sembra aver dimenticato l’esistenza stessa dell’incanto. Ricco di personaggi indimenticabili, "Vita degli elfi" è una meditazione poetica sull’arte, la natura, i sogni e il ruolo dell’immaginazione.
Maria vive in uno sperduto villaggio in Borgogna, dove scopre di avere il dono di saper comunicare con la natura. Centinaia di chilometri più lontano, in Italia, Clara scopre di possedere uno sbalorditivo genio musicale e viene spedita dalla campagna a Roma per sviluppare queste sue portentose abilità. Il libro racconta la storia di due ragazzine in contatto con mondi magici e forze maligne grazie ai loro straordinari talenti. Se, a dispetto di tutti gli ostacoli, riusciranno a unire i loro destini, questo incontro potrebbe cambiare il corso della storia.

Maria vive in uno sperduto villaggio in Borgogna, dove scopre di avere il dono di saper comunicare con la natura. Centinaia di chilometri più lontano, in Italia, Clara scopre di possedere uno sbalorditivo genio musicale e viene spedita dalla campagna a Roma per sviluppare queste sue portentose abilità. Il libro racconta la storia di due ragazzine in contatto con mondi magici e forze maligne grazie ai loro straordinari talenti. Se, a dispetto di tutti gli ostacoli, riusciranno a unire i loro destini, questo incontro potrebbe cambiare il corso della storia.
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giovedì 31 dicembre 2015
Quanto è strana la biblioteca di Murakami?
Lasciate ogni speranza oh voi che avete amato "Norvegian wood", "Kafka sulla spiaggia", "A sud del confine, a ovest del sole", "1q84", "L'arte di correre" ecc. Nulla di tutto questo, di tutto quanto finora apprezzato di Haruki Murakami, troverete in "La strana biblioteca". Strana, ma strana forte.
Taglierò corto, non mi dilungherò. Il mio giudizio è quindi presto detto ed in linea con la maggior parte delle recensioni: aspettative deluse, racconto fantasioso e privo di una trama convincente, pubblicazione di scarsa qualità letteraria non fosse altro per le illustrazioni originali e maggiormente evocative del testo stesso. Un fumettone che tuttavia non annoia e tiene incollato il lettore tra le sue pagine (ma forse perché di annoiarsi su questo libricino - inteso come libro di piccole dimensioni - non c'è proprio il tempo: si legge in un'ora!).
La trama:
"Tornando a casa dopo la scuola, uno studente si ferma in una strana biblioteca. Certo, anche la sua richiesta è un po' strana. Chiede alla bibliotecaria qualche libro che possa soddisfare la sua ultima curiosità: la riscossione delle tasse nell'Impero ottomano. La bibliotecaria lo manda alla stanza 107. Qui l'aspetta un altro bibliotecario, ancora piú bizzarro della prima: «Aveva la faccia coperta di piccole macchie nere, come tanti moscerini. Era calvo e portava occhiali dalle lenti spesse. La sua calvizie non era uniforme. Tutt'intorno al cranio gli restavano ciuffi di capelli bianchi ritorti, come in un bosco dopo un incendio». È davvero una ben strana biblioteca, questa! Il bibliotecario accompagna il bambino attraverso un labirinto di corridoi e stanze, finché non arrivano in una stanza dove riposa un piccolo uomo vestito con una pelle di pecora. E qui le cose si fanno brutte: il bibliotecario e l'uomo-pecora spingono il piccolo in una cella. Il bambino rischia di fare una fine terribile se non arrivasse in suo soccorso una ragazza sconosciuta..."
Una storia senza capo né coda, non si capisce bene se scritta per adulti o ragazzi, che fa parlare di sé solo per via della notorietà del suo autore. Ma allora, proprio perché di Murakami, dove sta il gap? In un suo tonfo a piedi uniti verso la mediocrità o nella nostra incapacità di cogliere il significato più profondo di questa narrazione, legata al potere evocativo dei libri? Ardua la sentenza...
Taglierò corto, non mi dilungherò. Il mio giudizio è quindi presto detto ed in linea con la maggior parte delle recensioni: aspettative deluse, racconto fantasioso e privo di una trama convincente, pubblicazione di scarsa qualità letteraria non fosse altro per le illustrazioni originali e maggiormente evocative del testo stesso. Un fumettone che tuttavia non annoia e tiene incollato il lettore tra le sue pagine (ma forse perché di annoiarsi su questo libricino - inteso come libro di piccole dimensioni - non c'è proprio il tempo: si legge in un'ora!).
La trama:

Una storia senza capo né coda, non si capisce bene se scritta per adulti o ragazzi, che fa parlare di sé solo per via della notorietà del suo autore. Ma allora, proprio perché di Murakami, dove sta il gap? In un suo tonfo a piedi uniti verso la mediocrità o nella nostra incapacità di cogliere il significato più profondo di questa narrazione, legata al potere evocativo dei libri? Ardua la sentenza...
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mercoledì 14 ottobre 2015
"Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà", in arrivo il nuovo libro di Sepùlveda
Dopo i grandi successi di 'Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare', 'Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico' e 'Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza', Luis Sepùlveda torna a parlare ai bambini e agli adulti di valori a lui cari, con protagonisti quegli gli animali che ama moltissimo.
Al valore della fedeltà l'autore ha dedicato la sua nuova favola che sarà in libreria il 22 ottobre per Guanda. E per presentare 'Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà' Sepùlveda verrà in Italia con un primo appuntamento il 24 e 25 ottobre a Bookcity, a Milano. Sempre il 24, al Teatro Sociale di Lecco, riceverà il premio Manzoni alla carriera. Poi, il 26 ottobre sarà a Vicenza e il 27 a Prato.
Questa volta Sepulveda ci porta nella sua terra, il sud del Cile, con la storia di un cane lupo legato da una amicizia profonda a un bambino che appartiene agli indios mapuche, dai quali lui stesso discende. Per un cane cresciuto insieme ai mapuche, la Gente della Terra, è odioso il comportamento di chi non rispetta la natura e tutte le sue creature. Messo alla catena, il cane lupo vive nel rimpianto della felice libertà conosciuta da cucciolo e nella nostalgia per tutto quel che ha perduto. E' stato separato da Aukamañ, il bambino indio che è stato per lui come un fratello. Adesso la sua missione è dare la caccia a un misterioso fuggitivo, che si nasconde al di là del fiume. Dove lo porterà la caccia? Il destino è scritto nel nome, e il suo significa fedeltà alla vita che non si può mai tradire.

Questa volta Sepulveda ci porta nella sua terra, il sud del Cile, con la storia di un cane lupo legato da una amicizia profonda a un bambino che appartiene agli indios mapuche, dai quali lui stesso discende. Per un cane cresciuto insieme ai mapuche, la Gente della Terra, è odioso il comportamento di chi non rispetta la natura e tutte le sue creature. Messo alla catena, il cane lupo vive nel rimpianto della felice libertà conosciuta da cucciolo e nella nostalgia per tutto quel che ha perduto. E' stato separato da Aukamañ, il bambino indio che è stato per lui come un fratello. Adesso la sua missione è dare la caccia a un misterioso fuggitivo, che si nasconde al di là del fiume. Dove lo porterà la caccia? Il destino è scritto nel nome, e il suo significa fedeltà alla vita che non si può mai tradire.
lunedì 27 aprile 2015
Il "non-Baricco" in Smith&Wesson
Lasciate ogni speranza oh voi che leggete! Dimenticate il Baricco di "Oceano Mare", di "Seta", di "Questa storia", di "Senza sangue". Scordate la prosa di "Tre volte all'alba", il genio di "Mr. Gwyn" e la musicalità di "Novecento".
Non è l'autore che conoscete, che amate, che seguite quello che trovate tra le pagine di "Smith&Wesson", un testo scritto per il teatro, pensato per il teatro, recitato nella mente per il teatro, ma che nulla ha a che fare con l'intramontabile, unico e bellissimo monologo del narratore che racconta la vita di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento; nulla ha a che spartire con la poesia in esso racchiusa; nulla ha a che vedere con lo stupore, il piacere, la gioia che solo l'ermetismo letterario di Baricco sa regalare al lettore. Si smorza così ben presto l'aspettativa, l'interesse, la voglia di dissetarsi di parole, frasi, storie.

Quest'ultimo lavoro lascia dell'amaro in bocca e per certi versi delude laddove si evince la piega assunta dall'autore nel voler realizzare qualcosa di così omologato, così indistinto, così mediocre, forzatamente ironico, proprio quando avrebbe potuto benissimo dare vita ad una narrazione ben più carezzevole e ricca, così com'è nello stile di Baricco cui siamo abituati. Assente il coinvolgimento emotivo, assente la scrittura e la follia, assente la volontà di mettere insieme "... le parole come piccole macchine molto precise...".
Tutto, tranne un paio di passaggi e altrettante pagine a fine libro, in cui si ritrova il genio e la poesia. Sfuggevoli, come acqua tra le dita. Che solo per un breve istante restituiscono l'autore.
Centotto pagine per arrivare alla parola FINE. Meno di due ore, il tempo di lettura.
La trama: "Tom Smith e Jerry Wesson si incontrano davanti alle cascate del Niagara nel 1902. Nei loro nomi e nei loro cognomi c'è il destino di un'impresa da vivere. E l'impresa arriva insieme a Rachel, una giovanissima giornalista che vuole una storia memorabile, e che, quella storia, sa di poterla scrivere. Ha bisogno di una prodezza da raccontare, e prima di raccontarla è pronta a viverla. Per questo ci vogliono Smith e Wesson, la coppia più sgangherata di truffatori e di falliti che Rachel può legare al suo carro di immaginazione e di avventura. Ci vuole anche una botte, una botte per la birra, in cui entrare e poi farsi trascinare dalla corrente. Nessuno lo ha mai fatto. Nessuno è sceso giù dalle cascate del Niagara dentro una botte di birra. È il 21 giugno 1902. Nessuno potrà mai più dimenticare il nome di Rachel Green? E sarà veramente lei a raccontarla quella storia?"
Non è l'autore che conoscete, che amate, che seguite quello che trovate tra le pagine di "Smith&Wesson", un testo scritto per il teatro, pensato per il teatro, recitato nella mente per il teatro, ma che nulla ha a che fare con l'intramontabile, unico e bellissimo monologo del narratore che racconta la vita di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento; nulla ha a che spartire con la poesia in esso racchiusa; nulla ha a che vedere con lo stupore, il piacere, la gioia che solo l'ermetismo letterario di Baricco sa regalare al lettore. Si smorza così ben presto l'aspettativa, l'interesse, la voglia di dissetarsi di parole, frasi, storie.

Quest'ultimo lavoro lascia dell'amaro in bocca e per certi versi delude laddove si evince la piega assunta dall'autore nel voler realizzare qualcosa di così omologato, così indistinto, così mediocre, forzatamente ironico, proprio quando avrebbe potuto benissimo dare vita ad una narrazione ben più carezzevole e ricca, così com'è nello stile di Baricco cui siamo abituati. Assente il coinvolgimento emotivo, assente la scrittura e la follia, assente la volontà di mettere insieme "... le parole come piccole macchine molto precise...".
Tutto, tranne un paio di passaggi e altrettante pagine a fine libro, in cui si ritrova il genio e la poesia. Sfuggevoli, come acqua tra le dita. Che solo per un breve istante restituiscono l'autore.
Centotto pagine per arrivare alla parola FINE. Meno di due ore, il tempo di lettura.
La trama: "Tom Smith e Jerry Wesson si incontrano davanti alle cascate del Niagara nel 1902. Nei loro nomi e nei loro cognomi c'è il destino di un'impresa da vivere. E l'impresa arriva insieme a Rachel, una giovanissima giornalista che vuole una storia memorabile, e che, quella storia, sa di poterla scrivere. Ha bisogno di una prodezza da raccontare, e prima di raccontarla è pronta a viverla. Per questo ci vogliono Smith e Wesson, la coppia più sgangherata di truffatori e di falliti che Rachel può legare al suo carro di immaginazione e di avventura. Ci vuole anche una botte, una botte per la birra, in cui entrare e poi farsi trascinare dalla corrente. Nessuno lo ha mai fatto. Nessuno è sceso giù dalle cascate del Niagara dentro una botte di birra. È il 21 giugno 1902. Nessuno potrà mai più dimenticare il nome di Rachel Green? E sarà veramente lei a raccontarla quella storia?"
domenica 26 ottobre 2014
"I know what I like", la Genesis-App: Armando Gallo (si) racconta...
Una lista di 18 domande, per un'intervista oltreoceano programmata via Skype, finita nel cestino dopo pochi minuti. Per dare - al contrario - ampio spazio ad una piacevole chiacchierata tra amici di lunga data, Armando Gallo (storico giornalista, scrittore, fotografo rock, leggenda vivente nel mondo della musica) e Marco Olivotto (musicista, tecnico del suono, produttore, esperto di post-produzione fotografica, leggenda vivente nel mondo della correzione del colore) entrambi di origini italiane, ma interamente registrata in lingua inglese.
Il risultato di questa conversazione, che spazia dalla musica alla fotografia, dalla post-produzione alle coincidenze della vita (esistono davvero?), non è né un'intervista nel senso stretto della parola né una raccolta di domande e risposte. E' piuttosto un preziosissimo contributo che va a colmare una falla presente quasi da sempre nella storia della musica, quella che noi comuni mortali conosciamo (ovvero, quella che ci è data di conoscere), e che ci permette - attraverso una storia personale e professionale - di mettere il naso in un mondo per certi aspetti ancora oggi precluso ai profani, riservato solo agli "addetti ai lavori".

L'introduzione e l'intervista - suddivisa in più trance, a causa della sua lunghezza (non fermatevi al primo brano: leggete tutto, perché merita davvero) - sono disponibili sia in lingua originale sia nella sua traduzione in italiano . E' una chicca come pochissime altre, introvabile e unica nel suo genere, rivolta non solo agli appassionati di musica, di storia della musica, di fotografia, ma anche e soprattutto a chi ama ciò che fa. Qualsiasi cosa essa sia...
... un'amicizia di lunga data, quella tra Armando Gallo e Marco Olivotto (1991)...
Il risultato di questa conversazione, che spazia dalla musica alla fotografia, dalla post-produzione alle coincidenze della vita (esistono davvero?), non è né un'intervista nel senso stretto della parola né una raccolta di domande e risposte. E' piuttosto un preziosissimo contributo che va a colmare una falla presente quasi da sempre nella storia della musica, quella che noi comuni mortali conosciamo (ovvero, quella che ci è data di conoscere), e che ci permette - attraverso una storia personale e professionale - di mettere il naso in un mondo per certi aspetti ancora oggi precluso ai profani, riservato solo agli "addetti ai lavori".
Cosa succede dietro le quinte? A dare il "La" a questa chiacchierata con Armando Gallo, la recentissima pubblicazione di una sua App per iPad sulla storia del gruppo musicale dei Genesis, chiamata “I Know What I Like”, e il coinvolgimento in essa di Marco Olivotto. Il messaggio finale va però molto al di là della musica, della fotografia, della post-produzione, perché tocca le corde invisibili che gesticono la nostra vita. Che - ben sapendo quel che (ci) piace - perfettamente si uniscono, si intrecciano, giocano, creando situazioni, incontri, coincidenze che (spesso a nostra insaputa) determinano il corso degli eventi, disegnano e colorano in modo inaspettato e imprevedibile lo sfondo sul quale poi noi costruiamo il nostro presente.


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venerdì 24 ottobre 2014
Le "Immagini del settimo giorno" di Michael Kenna
"Il settimo giorno, come ci dice il libro della Genesi, Dio - completata la creazione del mondo - si riposa. Shabbat è appunto, la festa del riposo. Perché, davanti alle fotografie di Michael Kenna che nel 2010 hanno formato la mostra di Palazzo Magnani a Reggio Emilia, mi viene spontaneo ricorrere a questa evocativa suggestione, che a qualcuno potrebbe apparire criptica o impropria? Perché da quando conosco il lavoro di Michael, vi ho sempre immediatamente colto, e amato, una sorta di respiro lento e profondo del mondo, un dilatarsi dello scorrere del tempo, come se il silenzio fosse finalmente sceso sulla terra, e ciò che sbrigativamente e con scarsa consapevolezza del suo senso profondo chiamiamo paesaggio a noi si offrisse nel suo incanto segreto, e nella sua essenza più vera. Non ci sono persone nelle fotografie di Kenna, né tantomeno volti e corpi che sviino la nostra attenzione dalle pure linee, dalle nitide geometrie, dai contrasti, alternativamente duri o soffusi, tra luce e ombra, stemperati nella nebbia che nasconde e rivela, o nitidamente accesi quando il biancore assoluto di una neve che tutto ammanta contrasta con la drammatica cupezza di rocce, di isole, di spiagge, di livide distese d'acqua. Insomma, a Kenna non interessa documentare la presenza, attuale e diretta, dell'uomo, ma solo le tracce, labili o imponenti, che lui si è lasciato dietro, l'esito del suo intervento, del suo transito nel mondo".
Sandro Parmiggiani
I paesaggi di Michael Kenna, innaturalmente silenziosi e poeticamente eloquenti, sono stati i protagonisti della ricca antologia "Immagini del settimo giorno", tenutasi a Palazzo Magnani di Reggio Emilia nel 2010, in occasione della quinta edizione di Fotografia Europea.
La mostra curata da Sandro Parmiggiani, ha ripercorso l’iter creativo del grande maestro inglese attraverso 290 immagini in bianco e nero, di cui 60 inedite, in parte dedicate alle sfumature del paesaggio reggiano, in parte ai riflessi e alle geometrie di quello lagunare veneziano.
Le "Immagini del settimo giorno" abbondano di nebbie del crepuscolo, brume dell’alba, orizzonti infiniti, cupe silhouette, dei paesaggi urbani e rurali, dell’Inghilterra degli anni ‘70 e ‘80, ma anche delle piramidi egizie e maya, delle statue dell’Isola di Pasqua, dei mulini a vento...
Sandro Parmiggiani
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giovedì 16 ottobre 2014
I "Paesaggi" di Henri Cartier-Bresson

Riportate dagli annali del Nihonshoki dell'anno 612, queste parole sono di un coreano che voleva restare in Giappone e che prometteva di rendere grandi servizi al Paese: la gente all'epoca l'ascoltò invece di cacciarlo via, dandogli più tardi il bel soprannome di "artigiano dei sentieri". Le poche frasi di questo coreano ebbero grandi conseguenze visto che sono all'origine dell'arte dei giardini...
Non basta però mettere insieme qualche pietra, anche con gusto, disegnare dei contorni di un'isola o il profilo di un fiume per ottenere un paesaggio di valore. I paesaggi sono vedute a tre dimensioni, ma prive di ciò che ingombra lo sguardo o le brutture che ci circondano.
Si pensa a questo di fronte ai paesaggi fotografati da Henri Cartier-Bresson. Prima di tutto, perché la fotografia è oggi il mezzo per riprodurre le montagne e le colline, le pianure e i fiumi; poi perché lui ha fatto entrare nello spazio ristretto dell'immagine un mondo immenso e riuscendo a contenerlo, all'interno di questo formato obbligato, grazie al rispetto di tre vecchi principi: la necessità di avere più piani, la giustezza delle proporzioni, la ricerca di un equilibrio; in una parola, la presenza di un'ossatura, come dicevano gli antichi maestri della pittura a inchiostro...
Gérard Macé
Personaggio divenuto mitico suo malgrado, Henri Cartier-Bresson ha segnato con un'impronta personale il mondo della fotografia con un rigore d'analisi e un rapporto tra forma e contenuto che non ammette quasi altro modo per esprimere un fatto, descrivere un paesaggio, realizzare un ritratto. Il patrimonio delle sue immagini rappresenta ormai una pietra miliare: non si può essere fotografi senza rapportarsi, per imitazione, contrapposizione o proselitismo, con la sua opera. Sinonimo egli stesso del termine "fotografia", che ha arricchito di teoria non meno che di folgoranti esempi pratici, ci offre in questo libro sui "Paesaggi", ben 105 delle sue migliori immagini, dalle quali imparare, imparare, imparare, introdotte da un profondo testo di Erik Orsenna e completate dalle parole di Macé.
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domenica 28 settembre 2014
"On writing" di Stephen King
"Scrivere è un'operazione solitaria. Avere qualcuno che crede in te fa una grande differenza. Non c'è bisogno che si lancino in orazioni. Di solito credere è già sufficiente..."
- S. King
Più che un manuale tecnico per aspiranti scrittori, "On writing" è - come sottolinea l'autore - un'autobiografia del mestiere, in cui la storia personale e professionale di King si fondono totalmente. Il capitolo d'apertura, "Curriculum vitae" ripercorre infatti - attraverso un'autonarrazione avvincente, ironica e magistralmente descritta grazie ad una sana dose d'umiltà ed un linguaggio schietto e popolare - gli anni della formazione, passando attraverso i momenti di crescita, per ripercorrere l'ascesa professionale culminata con il grande successo di "Carrie".
Nella seconda parte del libro (non un vero e proprio manuale di scrittura bensì piuttosto una "chiacchierata" a tu-per-tu con King), "La cassetta degli attrezzi" è invece una disincantata - ma non banale - elencazione dei ferri del mestiere. "Sullo scrivere" illustra invece le fasi del racconto creativo fino all'approdo editoriale; infine "Sul vivere" l'autore racconta di come abbia visto la morte da vicino dopo lo spaventoso incidente in cui venne coinvolto e come, grazie alla scrittura, tornò alla vita.
Ecco dunque che concetti fondamentali si affiancano a esperienze di vita di Stephen King, che in "On writing" si limita semplicemente a sviluppare un discorso sul perché e sul percome di una passione trasformata in professione, infarcendolo di consigli, ma mai di dogmi. La sua visione della scrittura narrativa dunque come totale assenza di schemi preparatori, scalette, e altri interventi che tolgono carburante alla fantasia, e che rappresentano l'essenza stessa della scrittura.
Una lettura obbligatoria per chiunque voglia tenere una penna in mano, un libro che ogni aspirante scrittore dovrebbe leggere. Con umiltà.

Nella seconda parte del libro (non un vero e proprio manuale di scrittura bensì piuttosto una "chiacchierata" a tu-per-tu con King), "La cassetta degli attrezzi" è invece una disincantata - ma non banale - elencazione dei ferri del mestiere. "Sullo scrivere" illustra invece le fasi del racconto creativo fino all'approdo editoriale; infine "Sul vivere" l'autore racconta di come abbia visto la morte da vicino dopo lo spaventoso incidente in cui venne coinvolto e come, grazie alla scrittura, tornò alla vita.
Ecco dunque che concetti fondamentali si affiancano a esperienze di vita di Stephen King, che in "On writing" si limita semplicemente a sviluppare un discorso sul perché e sul percome di una passione trasformata in professione, infarcendolo di consigli, ma mai di dogmi. La sua visione della scrittura narrativa dunque come totale assenza di schemi preparatori, scalette, e altri interventi che tolgono carburante alla fantasia, e che rappresentano l'essenza stessa della scrittura.
Una lettura obbligatoria per chiunque voglia tenere una penna in mano, un libro che ogni aspirante scrittore dovrebbe leggere. Con umiltà.
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martedì 26 agosto 2014
Guardarsi allo specchio e scorgere "L'incolore Tazaki..."

Non avere un colore insito nel proprio nome - quando questo è un elemento comune ai suoi quattro migliori amici - può pregiudicare l'esistenza? Tazaki Tsukuru ha "una sola passione, se così la si può definire: le stazioni ferroviarie". Su questa passione imposta lo studio, la professione e il luogo in cui vivere. Nulla accade di drammatico, ma contemporaneamente al suo trasferimento da Nagoya, la sua città d'origine, a Tōkyō, Tsukuru viene improvvisamente rifiutato da quegli amici con cui aveva trascorso ogni giornata e diviso ogni momento. Una sola telefonata dagli altri: non deve più cercarli. Da quel giorno, senza nessuna spiegazione, non li vedrà mai più. Sarà una nuova amica, Sara, a guidare Tsukuru verso una risposta anche se come sempre Murakami non offre un finale definitivo alla sua storia, non regala una soluzione consolatoria. Tsukuru guarda la sua sofferenza come fosse quella di un altro, cerca di staccarsi dalla sua fisicità, viene posseduto "dalla strana sensazione che il suo corpo stia subendo una totale metamorfosi", sino al punto di sentirsi un'altra persona totalmente, di cambiare fisionomia inasprendo il carattere. In un passaggio centrale del romanzo, Murakami riprende l'amato tema della crisalide da cui nasce un nuovo essere, diverso da quello precedente. Più che una farfalla un cervo volante, uno scarabeo rinoceronte, corazzato, indurito, reso più cinico e insensibile. "Il ragazzo che una volta si chiamava Tazaki Tsukuru era morto [...] Quello che adesso era lì e respirava, era un nuovo Tazaki Tsukuru, un Tazaki Tsukuru il cui nucleo era stato, in gran parte almeno, sostituito. Ma era una verità che conosceva soltanto lui. Né aveva intenzione di condividerla con nessuno".
"L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio" è il romanzo di una vita segnata da un'incomprensione; di un'infanzia, un'adolescenza e una maturità rigide, strutturate come solo la società giapponese riesce a fare; di un'incomunicabilità legata all'educazione che impedisce l'espressione libera e assoluta dei propri sentimenti e induce alla solitudine. È un libro di sensazioni che non si può descrivere se non attraverso sensazioni. Un romanzo del quotidiano che fa del quotidiano romanzo. Ed è opinione comune che unicamente i grandi scrittori abbiano la capacità di svelare lo straordinario nel banale. Un libro che fa costantemente pensare, che ben si lascia interpretare e coniugare al proprio vissuto ed al proprio presente, che scorre dentro. Apparentemente lento, è invece molto intenso, mai banale; un libro sicuramente introspettivo, entra in profondità...

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