Un tema delicato, doloroso e più attuale di quel che si pensi, affrontato con un linguaggio semplice, diretto, immediato, mai invasivo né biasimevole, da chi, con quel tema, molto spesso è chiamato a confrontarsi - per via dell'età, la più bella e la più critica, per via di quegli sguardi cui una professione può alle volte portare ad avere un occhio di riguardo.
E' l'ampia sfera dei disturbi alimentari quella trattata nel progetto "Feed the Change 2.0" elaborato dagli studenti delle classi quinte del Centro di formazione professionale-Alberghiero di Riva del Garda, che attraverso un percorso fotografico sviluppato durante l'attività didattica sulla piattaforma più amata e usata dai giovani, Instagram, hanno sapientemente costruito una mostra vera e propria, restituita in questi giorni sia ai compagni di scuola che alla comunità altogardesana e trentina.
Mettendosi in gioco in prima persona, i ragazzi hanno prodotto un sapiente ed indovinato mix di contributi video, di didascalici spunti di riflessione, di immagini chiare e dirette, di figure simboliche, con l'intento di invitare il visitatore - adolescente o adulto che sia - a soffermarsi sia sugli aspetti sociali che su quelli sanitari di anoressia, bulimia, alimentazione incontrollata, senza tuttavia dimenticare mai di focalizzare l'attenzione sulle fragilità, sulla solitudine, sulle insicurezze e su tutte quelle emozioni che costituiscono il bagaglio con cui i giovani di oggi devono con-vivere.
La bontà del progetto, cui va tutto il mio plauso per l'idea e la realizzazione, può essere riassunta in un intelligente messaggio di speranza e bellezza che dimostra quanto le nuove generazioni siano capaci di generare grazie agli strumenti 2.0, loro congeniali, e al fiducioso appoggio del mondo degli adulti - un messaggio che faccio mio e rilancio in rete a quanti vogliano condividere, riconoscendosi nelle parole: "Migliorare è sempre possibile ma è bene anche imparare ad amarsi e accettarsi!"
... dalla Divina Commedia ad Harry Potter, passando per Gutenberg, gli e-books, i social-media, la grammatica italiana e le recensioni, la poesia e i classici, la letteratura per i bambini di ieri, oggi e domani, la fotografia e l'arte, le nuove forme di comunicazione... e giù giù fino all'editoria, alle biblioteche, agli incipit, agli appuntamenti letterari, alle mostre, alle novità, agli esordienti. Per i quali - non lo nego - ho un debole...
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giovedì 31 maggio 2018
"Feed the Change 2.0" - dagli studenti dell'Alberghiera una mostra fotografica sui disturbi alimentari
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domenica 17 dicembre 2017
Libri: sotto l'albero di Natale di quest'anno, mettete Tempo e Qualità
Stavo pensando ad un nuovo post, in tema natalizio. Uno di quelli "cosa regalare e cosa regalarsi". Uno di quelli sulle strenne, per intenderci - perché anche in vista delle feste con un libro non si sbaglia mai (più o meno).
Ho dato un'occhiata alla rete, alle proposte, ai suggerimenti, ai consigli, alle novità. Niente da fare, è più forte di me: non vi propinerò l'ultimo romanzo di Camilleri, di Dan Brown, di Jovanotti. E soprattutto, lungi da me l'idea di spingervi a comperare qualcosa - che sia il primo o l'ultimo libro - di Fabio Volo. Piuttosto, nessun regalo!
E allora, cosa consigliare per andare a colpo sicuro e non fare figuracce? Partirei da un paio di presupposti: non è detto che quel che piace a voi, genere letterario o autore che sia, piaccia anche agli altri, così come non è detto che i best-seller alla fin dei conti così "best" in fatto di qualità lo siano per davvero.
Certo, i classici sono un evergreen, ma tenete bene a mente che lo sono anche sotto l'albero. E se ad un classico non si può mai dire di no, è altrettanto vero che non sarete gli unici a ripiegare su questa scelta (con il rischio magari di trovarvi tra le mani un Piccolo principe che il nipotino ha già ricevuto tre volte negli ultimi tre Natali!).
Un evergreen lo sono pure i manuali, sia che si tratti di cucina, di bricolage, di giardinaggio, di fotografia. Ma attenzione: prima di lanciarvi nell'acquisto di un volume su come potare correttamente le rose o come realizzare immagini digitali da copertina, tastate il terreno, per capire se il destinatario del regalo non sia già qualche livello più avanti rispetto quanto contenuto nel volume da voi individuato.
Cosa regalare, dunque? Guardandomi in giro, leggendo molto (quest'anno ho superato la soglia dei 70 libri), navigando in rete, due cose mi son saltate all'occhio: la qualità dei libri proposti in libreria è sempre più scadente (sintomo non di scelte dovute ai singoli librai, o per lo meno non a quelli piccoli e indipendenti - cosa diversa invece per quanto riguarda le grandi catene, che puntano ovviamente ad un vasto pubblico omologato e al commercio fine a se stesso), il valore che diamo al tempo - per noi stessi e per gli altri - va sempre più riducendosi al lumicino.
Quest'anno, per Natale, regalate dunque Tempo e Qualità. Prendetevi Tempo, per parlare con chi vi sta di fronte, capire i gusti, gli interessi, condividere i sogni e i desideri: solo così, entrando in libreria, saprete esattamente cosa acquistare (ricordate, che quello del Tempo è e rimane sempre il regalo migliore). E donate Qualità, nei rapporti con gli altri e con voi stessi: non affidate i vostri auguri ad un banale, freddo, impersonale (e molto spesso, ahimè grammaticalmente scorretto) messaggio in chat - ma telefonate, presentatevi alla porta, stringete la mano: gli auguri saranno sinceri e il libro che donerete racconterà qualcosa di voi.
Auguri di cuore, allora - ma di Cuore davvero.
Ho dato un'occhiata alla rete, alle proposte, ai suggerimenti, ai consigli, alle novità. Niente da fare, è più forte di me: non vi propinerò l'ultimo romanzo di Camilleri, di Dan Brown, di Jovanotti. E soprattutto, lungi da me l'idea di spingervi a comperare qualcosa - che sia il primo o l'ultimo libro - di Fabio Volo. Piuttosto, nessun regalo!
E allora, cosa consigliare per andare a colpo sicuro e non fare figuracce? Partirei da un paio di presupposti: non è detto che quel che piace a voi, genere letterario o autore che sia, piaccia anche agli altri, così come non è detto che i best-seller alla fin dei conti così "best" in fatto di qualità lo siano per davvero.
Certo, i classici sono un evergreen, ma tenete bene a mente che lo sono anche sotto l'albero. E se ad un classico non si può mai dire di no, è altrettanto vero che non sarete gli unici a ripiegare su questa scelta (con il rischio magari di trovarvi tra le mani un Piccolo principe che il nipotino ha già ricevuto tre volte negli ultimi tre Natali!).
Un evergreen lo sono pure i manuali, sia che si tratti di cucina, di bricolage, di giardinaggio, di fotografia. Ma attenzione: prima di lanciarvi nell'acquisto di un volume su come potare correttamente le rose o come realizzare immagini digitali da copertina, tastate il terreno, per capire se il destinatario del regalo non sia già qualche livello più avanti rispetto quanto contenuto nel volume da voi individuato.
Cosa regalare, dunque? Guardandomi in giro, leggendo molto (quest'anno ho superato la soglia dei 70 libri), navigando in rete, due cose mi son saltate all'occhio: la qualità dei libri proposti in libreria è sempre più scadente (sintomo non di scelte dovute ai singoli librai, o per lo meno non a quelli piccoli e indipendenti - cosa diversa invece per quanto riguarda le grandi catene, che puntano ovviamente ad un vasto pubblico omologato e al commercio fine a se stesso), il valore che diamo al tempo - per noi stessi e per gli altri - va sempre più riducendosi al lumicino.
Quest'anno, per Natale, regalate dunque Tempo e Qualità. Prendetevi Tempo, per parlare con chi vi sta di fronte, capire i gusti, gli interessi, condividere i sogni e i desideri: solo così, entrando in libreria, saprete esattamente cosa acquistare (ricordate, che quello del Tempo è e rimane sempre il regalo migliore). E donate Qualità, nei rapporti con gli altri e con voi stessi: non affidate i vostri auguri ad un banale, freddo, impersonale (e molto spesso, ahimè grammaticalmente scorretto) messaggio in chat - ma telefonate, presentatevi alla porta, stringete la mano: gli auguri saranno sinceri e il libro che donerete racconterà qualcosa di voi.
Auguri di cuore, allora - ma di Cuore davvero.
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venerdì 14 luglio 2017
Per i 150 anni dalla nascita, una mostra con le opere di Pirandello
"I libri pesano tanto: eppure, chi se ne ciba e se li mette in corpo, vive tra le nuvole." Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, 1904
Nacque il 28 giugno 1867 a Girgenti (Agrigento dal 1927) in un podere di campagna detto il Caos. Nome che l’intellettuale stesso avrebbe considerato simbolico negli anni a venire. Studiò lettere tra Palermo, Roma e Bonn. Apprezzato narratore, Luigi Pirandello divenne uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi. Ricevette il Nobel per la letteratura nel 1934 e morì a Roma due anni più tardi, nel 1936.
A 150 anni dalla nascita, si susseguono numerosi in tutta Italia gli omaggi a lui dedicati. Presso la Biblioteca civica "Tartarotti" di Rovereto saranno in mostra per l'occasione, fino al 24 luglio 2017, alcune preziose prime edizioni della raccolta Novelle per un anno e della raccolta Maschere nude, raffinato ossimoro che Pirandello scelse come titolo per l'edizione complessiva dei suoi testi teatrali.
Nacque il 28 giugno 1867 a Girgenti (Agrigento dal 1927) in un podere di campagna detto il Caos. Nome che l’intellettuale stesso avrebbe considerato simbolico negli anni a venire. Studiò lettere tra Palermo, Roma e Bonn. Apprezzato narratore, Luigi Pirandello divenne uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi. Ricevette il Nobel per la letteratura nel 1934 e morì a Roma due anni più tardi, nel 1936.
A 150 anni dalla nascita, si susseguono numerosi in tutta Italia gli omaggi a lui dedicati. Presso la Biblioteca civica "Tartarotti" di Rovereto saranno in mostra per l'occasione, fino al 24 luglio 2017, alcune preziose prime edizioni della raccolta Novelle per un anno e della raccolta Maschere nude, raffinato ossimoro che Pirandello scelse come titolo per l'edizione complessiva dei suoi testi teatrali.
sabato 27 maggio 2017
"Il futuro? Sarà un agrodisastro"
«Un tempo la chiamavamo agricoltura. Oggi, quella che si beve il 70% dell’acqua dolce presente sulla Terra, che ha ormai sconvolto i cicli geochimici planetari, che sta portando il nostro pianeta all'agrodisastro, è un'industria vera e propria, riconosciuta come una delle cause del riscaldamento globale».
È un quadro clinico serio quello che Mauro Balboni - bolzanino di origini altogardesane, per 30 anni dirigente di aziende internazionali del settore industriale - descrive nel suo «Il pianeta mangiato-La guerra dell'agricoltura contro la Terra» (ed. Dissensi, pp. 247, 18 euro), un chiaro, denso, profondo tentativo di sintesi sulle criticità insite nel modello di sviluppo alimentare contemporaneo, fonte di interessi di multinazionali più che riferimento alla promozione della sostenibilità, che anziché restituire un senso di sterile catastrofismo invoglia il lettore affinché si faccia carico della propria parte di responsabilità verso la salvaguardia della Terra, pianeta malandato e bellissimo insieme. «Siamo talmente ossessionati dagli effetti che il nostro cibo può aver su noi da aver dimenticato che al momento, più che nutrirlo, il pianeta ce lo stiamo mangiando - spiega l'autore con evidente cognizione di causa, forte della propria esperienza professionale nel campo della ricerca - L’umanità è a un punto di non-ritorno: sta prendendo congedo dall’Olocene (l’Era geologica in cui è nata l’agricoltura, che ci ha fatto proliferare e prosperare) per varcare le soglie di una nuova Era, l’Antropocene, caratterizzata dall’impatto negativo delle attività umane sulla Terra per mezzo di un’alterazione massiccia e sistematica dei processi naturali. Produzione insostenibile, esplosione demografica, uso sregolato di risorse limitate come acqua e terra fertile, deforestazione e degrado ambientale, incapacità di percepire il cambiamento climatico, estinzione delle specie viventi, superamento della metà dei limiti di sopravvivenza della biosfera classificati dagli scienziati, ci stanno conducendo ad uno scenario in cui la Terra appare ormai un pianeta “tossico”. Quello che abbiamo fatto per più di 10.000 anni non è più replicabile e prima di rimanere senz’acqua o terra fertile dobbiamo iniziare a pensare in modo diverso al cibo, a come procurarcelo».
E Il pianeta mangiato ce lo spiega? «Va detto che il libro non dà ricette salva-umanità: è piuttosto un volume che analizza il nostro “pane quotidiano” e il suo costo in termini ambientali, che presenta dati, fa riflettere, capire, che lascia sgomenti, fa domande scomode ma stimolanti, ma che propone anche soluzioni». In poche parole, un’investigazione sui motivi che hanno condotto la Terra allo stato attuale nonché un invito a cercare alternative condivisibili per permettere all'uomo di fronteggiare l’enorme sforzo di adattamento al quale sarà chiamato per raggiungere la sicurezza alimentare nel mondo di domani. Stringendo il focus sul suo ambito d’elezione, Mauro Balboni osserva infatti come già oggi il mercato del cibo sia incompatibile con il pianeta e come a mangiare con regolarità siano già 6 miliardi e mezzo di persone, «... numero che entro 35 anni e in un contesto climatico cambiato salirà a quasi 10 miliardi, di cui buona parte in Paesi con economie emergenti (già oggi, ad esempio, in Cina il consumo di carne è triplicato rispetto al passato e il numero di pasti consumati in fast food sestuplicato). Appare quindi molto poco probabile che si possa continuare a produrre le stesse cose di ora e negli stessi posti: in un prossimo futuro il grano per la pasta potrebbe arrivare dalla Siberia, i pomodori dai tetti del nostro quartiere e le proteine dai batteri di un laboratorio. Dovremo parlare di agricoltura verticale o urbana».
Ma siamo consapevoli della portata dell’agrodisastro? Quanti conoscono il ruolo esercitato su di esso dalla nostra alimentazione? E soprattutto: ci sono alternative? Per rispondere l'autore sfata miti ormai radicati, quali le virtù dell’agricoltura, l’intoccabilità della tradizione contadina e la retorica del buon tempo andato secondo cui il cibo deve essere naturale. «Dopo l’invenzione dell’agricoltura non c’è più stato nulla di “naturale” - conclude Balboni - Oggi, per produrre carni bianche in Europa e Cina, si usano mangimi di soia sudamericana, proveniente anche dalle aree deforestate del Mato Grosso. Così come, per una quantità indefinita di usi alimentari e non, si continua ad impiegare olio di palma, altra causa di deforestazione. Eppure né soia né palma da olio sono insostituibili. Bene la filiera corta, bene i gruppi di acquisto solidale, bene i no-Ogm: le singole azioni volontarie però non bastano. Ogni giorno un miliardo e mezzo di tonnellate di ghiaccio finiscono in mare e ogni anno vengono battuti record di alte temperature. La scala dei problemi è ormai tale che abbiamo solo una scelta: creare una massa critica impattante al punto da far sì che questi temi entrino a far parte delle agende politiche, dalle singole comunità fino all'UE e alle Nazioni unite, non solo sotto forma di accordi ma di governance globale del cibo in grado di limitare il disastro. Bisogna insomma tornare a riconoscere i limiti fisico-chimici e biologici dell’ecosistema terrestre. Il nostro pianeta l'abbiamo già spremuto abbastanza, ora dobbiamo inventare qualcosa di nuovo. Le risorse per farlo ci sarebbero: ogni giorno i Paesi dell'Ocse versano quasi un miliardo di dollari in sussidi ad agricoltori e allevatori. Dovremmo cominciare ad usare quel denaro per cambiare le filiere alimentari, renderle resilienti al cambiamento climatico, produrre il nostro “pane quotidiano” assieme alla biosfera, non più contro di essa come abbiamo fatto finora».
L'autore: per oltre trent’anni, Mauro Balboni (bolzanino, laureato in Scienze Agrarie all’Università di Bologna) è stato dirigente nel settore dell’agroindustria internazionale. Si è occupato sia di ricerca e sviluppo che di politiche governative, muovendosi soprattutto tra Austria e Inghilterra. Oggi vive in Svizzera. «Il pianeta mangiato» è il suo secondo libro (dopo aver pubblicato nel 1996 «Il paese alto») e verrà presentato presso la Biblioteca di Bezzecca il 17 agosto prossimo.
fonte: Paola Malcotti - giornale l'Adige di venerdì 26 maggio 2017
E Il pianeta mangiato ce lo spiega? «Va detto che il libro non dà ricette salva-umanità: è piuttosto un volume che analizza il nostro “pane quotidiano” e il suo costo in termini ambientali, che presenta dati, fa riflettere, capire, che lascia sgomenti, fa domande scomode ma stimolanti, ma che propone anche soluzioni». In poche parole, un’investigazione sui motivi che hanno condotto la Terra allo stato attuale nonché un invito a cercare alternative condivisibili per permettere all'uomo di fronteggiare l’enorme sforzo di adattamento al quale sarà chiamato per raggiungere la sicurezza alimentare nel mondo di domani. Stringendo il focus sul suo ambito d’elezione, Mauro Balboni osserva infatti come già oggi il mercato del cibo sia incompatibile con il pianeta e come a mangiare con regolarità siano già 6 miliardi e mezzo di persone, «... numero che entro 35 anni e in un contesto climatico cambiato salirà a quasi 10 miliardi, di cui buona parte in Paesi con economie emergenti (già oggi, ad esempio, in Cina il consumo di carne è triplicato rispetto al passato e il numero di pasti consumati in fast food sestuplicato). Appare quindi molto poco probabile che si possa continuare a produrre le stesse cose di ora e negli stessi posti: in un prossimo futuro il grano per la pasta potrebbe arrivare dalla Siberia, i pomodori dai tetti del nostro quartiere e le proteine dai batteri di un laboratorio. Dovremo parlare di agricoltura verticale o urbana».
Ma siamo consapevoli della portata dell’agrodisastro? Quanti conoscono il ruolo esercitato su di esso dalla nostra alimentazione? E soprattutto: ci sono alternative? Per rispondere l'autore sfata miti ormai radicati, quali le virtù dell’agricoltura, l’intoccabilità della tradizione contadina e la retorica del buon tempo andato secondo cui il cibo deve essere naturale. «Dopo l’invenzione dell’agricoltura non c’è più stato nulla di “naturale” - conclude Balboni - Oggi, per produrre carni bianche in Europa e Cina, si usano mangimi di soia sudamericana, proveniente anche dalle aree deforestate del Mato Grosso. Così come, per una quantità indefinita di usi alimentari e non, si continua ad impiegare olio di palma, altra causa di deforestazione. Eppure né soia né palma da olio sono insostituibili. Bene la filiera corta, bene i gruppi di acquisto solidale, bene i no-Ogm: le singole azioni volontarie però non bastano. Ogni giorno un miliardo e mezzo di tonnellate di ghiaccio finiscono in mare e ogni anno vengono battuti record di alte temperature. La scala dei problemi è ormai tale che abbiamo solo una scelta: creare una massa critica impattante al punto da far sì che questi temi entrino a far parte delle agende politiche, dalle singole comunità fino all'UE e alle Nazioni unite, non solo sotto forma di accordi ma di governance globale del cibo in grado di limitare il disastro. Bisogna insomma tornare a riconoscere i limiti fisico-chimici e biologici dell’ecosistema terrestre. Il nostro pianeta l'abbiamo già spremuto abbastanza, ora dobbiamo inventare qualcosa di nuovo. Le risorse per farlo ci sarebbero: ogni giorno i Paesi dell'Ocse versano quasi un miliardo di dollari in sussidi ad agricoltori e allevatori. Dovremmo cominciare ad usare quel denaro per cambiare le filiere alimentari, renderle resilienti al cambiamento climatico, produrre il nostro “pane quotidiano” assieme alla biosfera, non più contro di essa come abbiamo fatto finora».
L'autore: per oltre trent’anni, Mauro Balboni (bolzanino, laureato in Scienze Agrarie all’Università di Bologna) è stato dirigente nel settore dell’agroindustria internazionale. Si è occupato sia di ricerca e sviluppo che di politiche governative, muovendosi soprattutto tra Austria e Inghilterra. Oggi vive in Svizzera. «Il pianeta mangiato» è il suo secondo libro (dopo aver pubblicato nel 1996 «Il paese alto») e verrà presentato presso la Biblioteca di Bezzecca il 17 agosto prossimo.
fonte: Paola Malcotti - giornale l'Adige di venerdì 26 maggio 2017
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martedì 14 marzo 2017
Con "La grande via" di Luigi Fontana e Franco Berrino i segreti della longevità
«Vivere
più a lungo si può». Come? Secondo Luigi
Fontana
(medico
e scienziato di origini altogardesane, tra i massimi esperti mondiali
nel campo della nutrizione), che con il contributo di
Franco
Berrino
(medico
ed epidemiologo, direttore del Dipartimento di medicina preventiva
dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano) ha
da poco pubblicato “La
grande via”,
il segreto della longevità consisterebbe
nella combinazione di buone abitudini, volte da un lato a nutrire il
corpo con la giusta quantità di cibo sano e dall'altro a mantenerlo
in forma, sia con un esercizio fisico regolare sia con tecniche per
coltivare la mente e lo spirito.

«L'intento
è stato semplicemente quello di proporre ciò che l'antica saggezza
dei popoli ha tramandato fino a noi e che la ricerca scientifica ha
oggi potuto confermare - spiega Luigi Fontana, che assieme a Franco
Berrino e alla
giornalista Enrica Bortolazzi già
un paio di anni fa ha fondato l'associazione
da cui il libro prende il titolo -
Traendo spunto dal Codice europeo contro il cancro e da recenti studi
sperimentali, in questo volume abbiamo dunque illustrato come alcune
conoscenze empiriche di molte tradizioni culturali e le attuali
conoscenze scientifiche stiano oggi convergendo tra loro, dimostrando
così che la chiave della longevità non sia altro che il giusto mix
tra un'alimentazione sana e di qualità, un esercizio fisico costante
ed un training cognitivo che ci permetta di nutrire la mente, vivere
il presente in armonia con noi stessi. Le
cause della maggior parte delle malattie croniche si nascondono
infatti nella nostra vita quotidiana. In tutto il mondo le
istituzioni scientifiche e sanitarie sono chiamate però a rispondere
a leggi di mercato che hanno interesse a mantenerci in vita ma non in
salute; ci sono tuttavia sempre più prove scientifiche che indicano
come opportune alcune scelte nutrizionali e di attività fisica che,
se associate a tecniche di training cognitivo, di respirazione e
meditazione, diventano quanto mai essenziali per rallentare i
processi d'invecchiamento, favorire una longevità in salute,
prevenire le malattie tipiche della nostra era o facilitarne la
guarigione».
Senza dimenticare
però tutto ciò che ci circonda.
«La
salute personale è importante ma solo se vista in un contesto più
ampio - continua Fontana - Penso
che quel che manca al giorno d'oggi sia la consapevolezza del fatto
che abbiamo le conoscenze per vivere in un mondo fantastico e per
aumentare le nostre probabilità di giungere in salute a un’età
avanzata vivendo in un mondo sano e pulito: per migliorare lo stato
di salute dell’uomo e dell’ambiente ognuno di noi dovrebbe però
fare qualcosa, a partire da se stesso, il modo in cui pensa e vive.
Tutti insieme possiamo infatti collaborare per ridisegnare un nuovo
sistema di sviluppo economico e industriale incentrato
sull’efficienza e resilienza energetica e la salvaguardia della
salute, e non del capitale finanziario delle multinazionali. E per
farlo, basterebbe semplicemente abbandonare il paradigma che mira a
produrre più cibo ed energia a basso costo a favore di un nuovo
modello che opti per la creazione di prodotti e servizi di alta
qualità, che rispettino il benessere dell’uomo e dell’ambiente:
la felicità e il benessere non dipendono solo dall’acquisizione di
beni materiali e dalla crescita economica ma vengono alimentati dal
nostro stato di salute fisica, psicologica e spirituale, dalla
ricchezza delle nostre relazioni sociali e culturali, oltre che dalla
qualità dell’ambiente che sostiene tutta la vita sulla Terra, il
nostro vero, grande ed unico capitale. Abbiamo
dunque scritto questo libro in base sì alla nostra esperienza
scientifica e clinica - conclude Luigi Fontana - ma con gratitudine e
rispetto verso le migliaia di persone che hanno partecipato agli
studi e i pazienti che ci hanno affidato la loro speranza di
guarigione: ci auguriamo dunque che “La
grande via”
contribuisca a proteggere i lettori da informazioni distorte e
interessate, dai venditori di magici piani nutrizionali o integratori
miracolosi ma soprattutto inviti tutti noi ad un'articolata
riflessione personale e collettiva attorno al concetto di salute».
Gli autori:
Originario di Riva del Garda (TN), Luigi Fontana è medico e scienziato, professore
Franco Berrino è medico, epidemiologo, direttore del Dipartimento di Medicina preventiva dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano. Nella sua attività quarantennale di ricerca e prevenzione ha promosso lo sviluppo dei registri tumori in Italia e coordinato i registri tumori europei per lo studio della sopravvivenza dei malati. Ha coinvolto decine di migliaia di persone in studi sulle cause delle malattie croniche: i risultati gli hanno consentito di promuovere sperimentazioni per modificare lo stile di vita allo scopo di prevenire l'incidenza e la progressione dei carcinomi.
fonte: Paola Malcotti - giornale l'Adige di domenica 12 marzo 2017
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lunedì 23 gennaio 2017
Giorno della Memoria: leggere, per non dimenticare
Il 27 gennaio sarà il "Giorno della Memoria". Per non dimenticare l'Olocausto, ecco una breve selezione di libri da leggere.

Cominciamo dal "Diario" di Anne Frank, una testimonianza tra le più famose e terribili: nella Bur-Rizzoli esce ora una nuova versione, in cui il curatore Matteo Corradini armonizza le due stesure originarie, accompagnato da approfondimenti finora inediti e dalla testimonianza di Sami Modiano.
Realizzato con il Centro Primo Levi, "Opere complete" è invece il corpus leviano più esaustivo mai editato. Propone pure la tesi di laurea e le versioni radiofoniche di «Se questo è un uomo» e «La tregua».
A pochi giorni dalla morte di Zygmunt Bauman, il grande pensatore, teorico della società liquida scomparso il 9 gennaio, Il Mulino ripropone le sue riflessioni. Per Bauman l'Olocausto è inestricabilmente connesso alla logica della "Modernità" così come si è sviluppata in Occidente.
Nessun orrore è «comparabile ai campi di sterminio». Aharon Appelfeld, tra gli ultimi grandi testimoni viventi della Shoah, lo ha mostrato nei suoi libri e lo ribadisce anche di fronte alle atrocità a cui assistiamo oggi. «I campi di concentramento sono stati un omicidio organizzato, un assassinio industrializzato, un terribile veicolo per lo sterminio del popolo ebraico. Sono stati una colonia penale senza pietà. Ciò che sta accadendo in Siria, in Sudan, sono terribili orrori, ma non sono campi di concentramento. È incomparabile» dice lo scrittore. E "L'ultimo sopravvissuto", di fatto, è un libro autobiografico sulla sua esperienza da ragazzino quando si legò ai partigiani vivendo nella foresta.
Ricca di informazioni, fotografie e mappe, arriva "Visitare Auschwitz", una guida all'ex campo di concentramento e del sito memoriale. Anno dopo anno stanno crescendo i visitatori del lager. Solo dall'Italia sono almeno 60 mila le persone in visita, per lo più studenti e insegnanti. Ma chi si reca a Oswiecim e visita il Lager di Auschwitz, che ha sede nel campo base, e poi raggiunge Birkenau, il campo di sterminio poco distante, spesso non riesce a capire come funzionava. Ecco un libro ricco di mappe e informazioni.
"Il farmacista del ghetto di Cracovia": quando in un quartiere periferico della città polacca viene creato d'autorità il ghetto ebraico, il 3 marzo 1941, Tadeusz Pankiewicz ne diventa suo malgrado un abitante. Pur senza essere ebreo, infatti, gestisce l'unica farmacia del quartiere: contro ogni previsione e contro ogni logica di sopravvivenza, decide di rimanere e di tenere aperta la sua bottega. Grazie a questa sua condizione anomala, coinvolto ed estraneo allo stesso tempo, Pankiewicz diventa una figura cardine del ghetto: si fa testimone delle brutalità del nazismo, fedele cronista dei fatti e silenzioso soccorritore.
Cominciamo dal "Diario" di Anne Frank, una testimonianza tra le più famose e terribili: nella Bur-Rizzoli esce ora una nuova versione, in cui il curatore Matteo Corradini armonizza le due stesure originarie, accompagnato da approfondimenti finora inediti e dalla testimonianza di Sami Modiano.
Realizzato con il Centro Primo Levi, "Opere complete" è invece il corpus leviano più esaustivo mai editato. Propone pure la tesi di laurea e le versioni radiofoniche di «Se questo è un uomo» e «La tregua».
A pochi giorni dalla morte di Zygmunt Bauman, il grande pensatore, teorico della società liquida scomparso il 9 gennaio, Il Mulino ripropone le sue riflessioni. Per Bauman l'Olocausto è inestricabilmente connesso alla logica della "Modernità" così come si è sviluppata in Occidente.
Nessun orrore è «comparabile ai campi di sterminio». Aharon Appelfeld, tra gli ultimi grandi testimoni viventi della Shoah, lo ha mostrato nei suoi libri e lo ribadisce anche di fronte alle atrocità a cui assistiamo oggi. «I campi di concentramento sono stati un omicidio organizzato, un assassinio industrializzato, un terribile veicolo per lo sterminio del popolo ebraico. Sono stati una colonia penale senza pietà. Ciò che sta accadendo in Siria, in Sudan, sono terribili orrori, ma non sono campi di concentramento. È incomparabile» dice lo scrittore. E "L'ultimo sopravvissuto", di fatto, è un libro autobiografico sulla sua esperienza da ragazzino quando si legò ai partigiani vivendo nella foresta.
Ricca di informazioni, fotografie e mappe, arriva "Visitare Auschwitz", una guida all'ex campo di concentramento e del sito memoriale. Anno dopo anno stanno crescendo i visitatori del lager. Solo dall'Italia sono almeno 60 mila le persone in visita, per lo più studenti e insegnanti. Ma chi si reca a Oswiecim e visita il Lager di Auschwitz, che ha sede nel campo base, e poi raggiunge Birkenau, il campo di sterminio poco distante, spesso non riesce a capire come funzionava. Ecco un libro ricco di mappe e informazioni.
"Il farmacista del ghetto di Cracovia": quando in un quartiere periferico della città polacca viene creato d'autorità il ghetto ebraico, il 3 marzo 1941, Tadeusz Pankiewicz ne diventa suo malgrado un abitante. Pur senza essere ebreo, infatti, gestisce l'unica farmacia del quartiere: contro ogni previsione e contro ogni logica di sopravvivenza, decide di rimanere e di tenere aperta la sua bottega. Grazie a questa sua condizione anomala, coinvolto ed estraneo allo stesso tempo, Pankiewicz diventa una figura cardine del ghetto: si fa testimone delle brutalità del nazismo, fedele cronista dei fatti e silenzioso soccorritore.
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mercoledì 31 agosto 2016
I giusti secondo Borges
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere un'etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore ed una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragionegli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
- J. L. Borges
sabato 12 dicembre 2015
Il noema della Fotografia è semplice: E' stato!. "La camera chiara" di Roland Barthes
Il noema della Fotografia è semplice, banale: E' stato.
"La camera chiara-Nota sulla fotografia" (nota nel senso di riflessioni, considerazioni, anche digressione), è stata scritta da Roland Barthes pochi mesi prima della morte e risulta il suo testo piú penetrante. La fotografia, «medium bizzarro, nuova forma di allucinazione: falsa a livello della percezione, vera a livello del tempo», viene scrutata non in sé, ma attraverso un certo numero di casi, fotografie con le quali si stabilisce una speciale corrente determinata da «attrazione» e «avventura», in un raccordo con la cultura surrealista della foto-descrizione anni Trenta e con una riconsiderazione dell'immaginario sartriano anni Quaranta, e un oggi, un qui e ora, puntualmente vissuto e colto.
Passando poi a uno scavo autobiografico obiettivo - «dovevo penetrare maggiormente dentro di me per trovare l'evidenza della Fotografia» - in cui si ricrea, in una sorta di percorso proustiano, il sentire per affetti e sentimenti. Perché il discorso è interrogazione, è dialogo, ma è anche confessione; al «linguaggio espressivo» e al «linguaggio critico» se ne aggiunge un altro, piú ineffabile e rilevante, vera e propria premonizione: da qui scaturisce una considerazione della fotografia come «studium» e come «punctum» (i due termini usati da Barthes in un distinguo illuminante), ma soprattutto dello storico e dell'effimero in cui viviamo.
L'opera contiene digressioni e riflessioni sull'arte della Fotografia (si noti, nel volume, come il termine "Fotografia" sia sempre riportato con la F maiuscola, a sottolineare l'importanza dell'opera artistica e non dell'immagine!). L'autore prende in considerazione varie fotografie, scattate da diversi artisti tra cui Richard Avedon, Robert Mapplethorpe, Nadar e Niépce, e commentandole trae spunti di riflessione. Barthes distingue tre elementi fondamentali dell'arte fotografica:
l'operator ovvero l'operatore, colui che fa la foto; lo spectator ossia il fruitore, lo spettatore; lo spectrum vale a dire il soggetto immortalato.
L'autore distingue inoltre due modi che ha lo spectator di fruire una fotografia:
lo studium è l'aspetto razionale e si manifesta quando il fruitore si pone delle domande sulle informazioni che la foto gli fornisce (costumi, usi, aspetti); il punctum, è invece l'aspetto emotivo, ove lo spettatore viene irrazionalmente colpito da un dettaglio particolare della foto.
Il saggio La camera chiara è un testo fondamentale anche nell'indagine sul rapporto tra realtà e immagine, comunicazione e rappresentazione fotografica, che consiglio a chiunque desideri approcciarsi al meraviglioso mondo della Fotografia (con la F maiuscola!) in quanto arte e non mera rappresentazione digitale.
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mercoledì 14 ottobre 2015
"Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà", in arrivo il nuovo libro di Sepùlveda
Dopo i grandi successi di 'Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare', 'Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico' e 'Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza', Luis Sepùlveda torna a parlare ai bambini e agli adulti di valori a lui cari, con protagonisti quegli gli animali che ama moltissimo.
Al valore della fedeltà l'autore ha dedicato la sua nuova favola che sarà in libreria il 22 ottobre per Guanda. E per presentare 'Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà' Sepùlveda verrà in Italia con un primo appuntamento il 24 e 25 ottobre a Bookcity, a Milano. Sempre il 24, al Teatro Sociale di Lecco, riceverà il premio Manzoni alla carriera. Poi, il 26 ottobre sarà a Vicenza e il 27 a Prato.
Questa volta Sepulveda ci porta nella sua terra, il sud del Cile, con la storia di un cane lupo legato da una amicizia profonda a un bambino che appartiene agli indios mapuche, dai quali lui stesso discende. Per un cane cresciuto insieme ai mapuche, la Gente della Terra, è odioso il comportamento di chi non rispetta la natura e tutte le sue creature. Messo alla catena, il cane lupo vive nel rimpianto della felice libertà conosciuta da cucciolo e nella nostalgia per tutto quel che ha perduto. E' stato separato da Aukamañ, il bambino indio che è stato per lui come un fratello. Adesso la sua missione è dare la caccia a un misterioso fuggitivo, che si nasconde al di là del fiume. Dove lo porterà la caccia? Il destino è scritto nel nome, e il suo significa fedeltà alla vita che non si può mai tradire.

Questa volta Sepulveda ci porta nella sua terra, il sud del Cile, con la storia di un cane lupo legato da una amicizia profonda a un bambino che appartiene agli indios mapuche, dai quali lui stesso discende. Per un cane cresciuto insieme ai mapuche, la Gente della Terra, è odioso il comportamento di chi non rispetta la natura e tutte le sue creature. Messo alla catena, il cane lupo vive nel rimpianto della felice libertà conosciuta da cucciolo e nella nostalgia per tutto quel che ha perduto. E' stato separato da Aukamañ, il bambino indio che è stato per lui come un fratello. Adesso la sua missione è dare la caccia a un misterioso fuggitivo, che si nasconde al di là del fiume. Dove lo porterà la caccia? Il destino è scritto nel nome, e il suo significa fedeltà alla vita che non si può mai tradire.
martedì 26 agosto 2014
Coraggio...
Non mi interessa cosa fai per vivere,
voglio sapere per cosa sospiri
e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai,
voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido
per l'amore, per i sogni, per l'avventura di essere vivo.
Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna,
voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore,
se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita
o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.
Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo;
se puoi ballare pazzamente e lasciare l'estasi
riempirti fino alla punta delle dita senza prevenirti
di cautela, di essere realisti, o di ricordarci le limitazioni degli esseri umani.
Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera.
Voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere autentico a te stesso,
se puoi subire l'accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.
Voglio sapere se sei fedele e quindi hai fiducia.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non è bella tutti i giorni.
Se sei capace di far sorgere la tua vita con la tua sola presenza.
Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo o mio
e continuare a gridare all'argento di una luna piena: SI!
Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai,
mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste o spaccato in due,
e fare quel che si deve fare per i bambini.
Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui,
voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me e non retrocedere.
Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove,
voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l'ha fatto.
Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso,
e se veramente ti piace la compagnia che hai nei momenti vuoti.
(Nativi Americani)
voglio sapere per cosa sospiri
e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai,
voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido
per l'amore, per i sogni, per l'avventura di essere vivo.
Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna,
voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore,
se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita
o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.
Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo;
se puoi ballare pazzamente e lasciare l'estasi
riempirti fino alla punta delle dita senza prevenirti
di cautela, di essere realisti, o di ricordarci le limitazioni degli esseri umani.
Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera.
Voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere autentico a te stesso,
se puoi subire l'accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.
Voglio sapere se sei fedele e quindi hai fiducia.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non è bella tutti i giorni.
Se sei capace di far sorgere la tua vita con la tua sola presenza.
Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo o mio
e continuare a gridare all'argento di una luna piena: SI!
Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai,
mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste o spaccato in due,
e fare quel che si deve fare per i bambini.
Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui,
voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me e non retrocedere.
Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove,
voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l'ha fatto.
Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso,
e se veramente ti piace la compagnia che hai nei momenti vuoti.
(Nativi Americani)
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lunedì 31 marzo 2014
A Mauro Corona il "Premio Mario Rigoni Stern"
Si è tenuta sabato pomeriggio a Riva del Garda la cerimonia di consegna del Premio Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delle Alpi.
A ricevere il premio è stato lo scrittore Mauro Corona, che si è aggiudicato il riconoscimento con l'opera "La voce degli uomini freddi" (ed. Mondadori).
Mauro Corona ha dialogato con Luca Mercalli, Paolo Rumiz e Annibale Salsa. "Per me questo premio ha un valore diverso – ha affermato Corona –, e non solo perché Mario Rigoni Stern e le sue pagine mi hanno commosso. La mia scalata è stata una scalata al contrario e per me, questo premio dedicato a Mario, è il riscatto da una vita scellerata. Quando questa notte tornerò a casa e mi guarderò allo specchio, dirò: "forse ce l'ho fatta a uscire dall'inferno".
"La voce degli uomini freddi", un libro che è un omaggio alla mia gente, che viveva con una semplicità assoluta, e che avevo in mente da tempo", è stato il punto di partenza per un dialogo con lo scrittore sulla società attuale e il "senso del limite".
Corona ha ribadito più volte l'importanza dell'educazione per la "costruzione di una società nuova": "Noi siamo già contaminati. Siamo freddi. Solo ridotto alla fame l'uomo potrà tornare indietro e inginocchiarsi alla terra. Bisogna dunque partire dai giovani genitori che crescono i bambini e costruire da zero una società nuova. Bisogna insegnare ai bambini la passione e la curiosità". Corona è più volte ritornato sul valore della semplicità, il senso della misura e la capacità di accontentarsi – valori ben presenti nelle sue opere – in antitesi al "consumo brutale di velocità".
Le motivazioni
La giuria, costituita da Eraldo Affinati, Marie Hélène Angelini, Margherita Detomas, Paola Maria Filippi, Paolo Rumiz e Graziano Riccadonna (coordinatore) assegna l’edizione 2014 del “Premio Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delle Alpi” – sezione narrativa – a Mauro Corona per la sua opera La voce degli uomini freddi (ed. Mondadori), con la seguente motivazione:
«La voce degli uomini freddi di Mauro Corona rappresenta l'epopea delle genti di montagna, avvezze al pericolo e al sacrificio. Il cantore di queste genti non deve inventare nulla, ma riferirsi liberamente alla propria gente, quella di Erto e Casso, insomma della valle del Vajont.
Emblema della catastrofe di origine umana, la frana del Vajont è ancora oggi oggetto di dibattito e riflessione scientifica, a cinquanta anni da quella sera del 9 ottobre 1963.
Ma anche di racconto e di immaginario collettivo: dentro questa catastrofe è possibile ripercorrere gli infiniti percorsi del moderno piegato agli interessi consumistici e all'ansia di progresso a costo dei sacrifici umani.
Uomini freddi come aggettivo di loco, non come aggettivo qualificativo. Un'umanità costretta a vivere nel luogo freddo, ma che da questa caratteristica non solo non è schiacciata, ma la trasforma in elemento positivo: “Gente che aveva fatto della sfortuna la gioia di stare al mondo. L'unica gioia era quella. Gente che s'accontentava. Tutto qui”.
La neve poi è una metafora dell'esistenza e soprattutto della valanga che ha coperto la valle.. Resistenza, fatica, tenacia, sofferenza sono la cifra di una vita che si perpetua nelle avversità, traendone forza e nutrimento.
L'autore con la sua opera rappresenta, nel contesto culturale che fa riferimento all'arco alpino, un'espressione particolarmente significativa del territorio e delle sue genti, bene cogliendo il messaggio del Premio intitolato a Mario Rigoni Stern, inteso a perpetuarne i valori di fratellanza, di rispetto per l'ambiente, di umanità alpina».
Il livello alto delle opere presentate al concorso da autori di lingua italiana, tedesca e ladina ha reso estremamente arduo il compito della giuria, che dopo approfondita discussione ha comunque effettuato la sua scelta individuando, oltre al vincitore, due romanzi di tutto rispetto tali da poter essere citati: "I misteri del Cjaslir" (Curcu & Genovese) di Fabio Chiocchetti, impegnativo romanzo storico con grande affresco dedicato alle leggende e alle storie popolari che circondano un santo vescovo e una presunta strega della Val di Fassa. "Der Nachlass Domenico Minettis" (Anton Pustet) di Dietmar Gnedt (Il lascito di Domenico Minetti), appassionante romanzo austriaco legato alla complessità della Grande guerra vista con gli occhi di un uomo di frontiera.
Il premio letterario è dedicato alla memoria di Mario Rigoni Stern (Asiago 1 novembre 1921 - ivi 16 giugno 2008), autore di numerose opere che hanno fatto la storia della letteratura italiana, tra cui vanno sicuramente ricordate: Il sergente nella neve, Il bosco degli urogalli, Ritorno sul Don, Storia di Tönle, Le stagioni di Giacomo. Voce autorevole e ascoltata nella “letteratura di guerra”, Rigoni Stern ha saputo descrivere in modo originale la cultura della gente di montagna, raccontando il legame fra i montanari e il loro ambiente, e proponendo le Alpi quale orizzonte significativo della letteratura e della storiografia contemporanea, del moderno sentimento ecologico e perfino dell’etica. Il Premio Mario Rigoni Stern, alternandosi tra Trentino e Veneto con cadenza annuale, cerca di individuare gli elementi di eccellenza della narrativa e della saggistica di montagna all’interno delle opere edite nei due anni precedenti, individuando i seguenti settori di interesse: la bellezza del paesaggio alpino, nei suoi aspetti naturali e originali; le attività produttive tradizionali e la loro compatibilità ecologica; il contesto socioculturale passato e presente delle comunità alpine; la caccia in montagna come attività tradizionale; il patrimonio narratologico dell’arco alpino.
Il premio viene promosso dalla famiglia Rigoni Stern, dall’associazione Ars Venandi, Regione Veneto, Provincia Autonoma di Trento, Comune di Asiago, Comune di Riva del Garda, Cassa di Risparmio del Veneto, Banca di Trento e Bolzano, Federazione Italiana della Caccia, Fierecongressi di Riva del Garda, Museo degli usi e costumi di San Michele All’Adige. Nel 2011 si è aggiudicato il Premio (sezione saggistica) lo studioso e autore valdostano Alexis Bétemps. Nel 2012 si è aggiudicato il Premio (sezione narrativa) lo scrittore sloveno Alojz Rebula. Nel 2013 il Premio (sezione saggistica) è andato a Dionigi Albera. L’entità del premio, sia per la sezione saggistica sia per la sezione narrativa, è di 10.000 euro.
c.s. a cura di Francesca Polistina - Ufficio stampa Premio Rigoni Stern


Il livello alto delle opere presentate al concorso da autori di lingua italiana, tedesca e ladina ha reso estremamente arduo il compito della giuria, che dopo approfondita discussione ha comunque effettuato la sua scelta individuando, oltre al vincitore, due romanzi di tutto rispetto tali da poter essere citati: "I misteri del Cjaslir" (Curcu & Genovese) di Fabio Chiocchetti, impegnativo romanzo storico con grande affresco dedicato alle leggende e alle storie popolari che circondano un santo vescovo e una presunta strega della Val di Fassa. "Der Nachlass Domenico Minettis" (Anton Pustet) di Dietmar Gnedt (Il lascito di Domenico Minetti), appassionante romanzo austriaco legato alla complessità della Grande guerra vista con gli occhi di un uomo di frontiera.
Il premio letterario è dedicato alla memoria di Mario Rigoni Stern (Asiago 1 novembre 1921 - ivi 16 giugno 2008), autore di numerose opere che hanno fatto la storia della letteratura italiana, tra cui vanno sicuramente ricordate: Il sergente nella neve, Il bosco degli urogalli, Ritorno sul Don, Storia di Tönle, Le stagioni di Giacomo. Voce autorevole e ascoltata nella “letteratura di guerra”, Rigoni Stern ha saputo descrivere in modo originale la cultura della gente di montagna, raccontando il legame fra i montanari e il loro ambiente, e proponendo le Alpi quale orizzonte significativo della letteratura e della storiografia contemporanea, del moderno sentimento ecologico e perfino dell’etica. Il Premio Mario Rigoni Stern, alternandosi tra Trentino e Veneto con cadenza annuale, cerca di individuare gli elementi di eccellenza della narrativa e della saggistica di montagna all’interno delle opere edite nei due anni precedenti, individuando i seguenti settori di interesse: la bellezza del paesaggio alpino, nei suoi aspetti naturali e originali; le attività produttive tradizionali e la loro compatibilità ecologica; il contesto socioculturale passato e presente delle comunità alpine; la caccia in montagna come attività tradizionale; il patrimonio narratologico dell’arco alpino.
Il premio viene promosso dalla famiglia Rigoni Stern, dall’associazione Ars Venandi, Regione Veneto, Provincia Autonoma di Trento, Comune di Asiago, Comune di Riva del Garda, Cassa di Risparmio del Veneto, Banca di Trento e Bolzano, Federazione Italiana della Caccia, Fierecongressi di Riva del Garda, Museo degli usi e costumi di San Michele All’Adige. Nel 2011 si è aggiudicato il Premio (sezione saggistica) lo studioso e autore valdostano Alexis Bétemps. Nel 2012 si è aggiudicato il Premio (sezione narrativa) lo scrittore sloveno Alojz Rebula. Nel 2013 il Premio (sezione saggistica) è andato a Dionigi Albera. L’entità del premio, sia per la sezione saggistica sia per la sezione narrativa, è di 10.000 euro.
c.s. a cura di Francesca Polistina - Ufficio stampa Premio Rigoni Stern

lunedì 24 marzo 2014
"Donna... sensualità senza tempo", le fotografie di Sonia Calzà in mostra
Il progetto fotografico "Donna... sensualità senza tempo" di Sonia Calzà esposto presso il Palazzo Panni di Arco (TN), nato per gioco o, forse, per una semplice casualità delle cose, cela al proprio interno un’idea importante, legata ad un costante retro pensiero che accompagna l’esperienza esistenziale di ciascuno di noi: il tempo che scorre e il modo in cui esso leviga, riplasmandoli, i corpi femminili.
Un rapporto, quello con il trascorre del tempo, che non è legato solamente ad una trasformazione fisica della propria corporeità, ma anche al modo in cui esso si riflette nella percezione del sé, sotto il profilo psicologico e sociale.
Sonia Calzà, con la creativa complicità della sua “modella”, vive da tempo, con impegno ed ottimi risultati espressivi, la passione per la fotografia e, rapita da una folgorazione creativa, si è ritrovata a riprendere, prima per divertimento, e poi molto seriamente, una dimensione femminile intrigante e spiazzante.
Sono state prodotte riprese spontanee, la cui realizzazione si è accompagnata, quasi interattivamente, con una forte concettualizzazione sul risultato ed i suoi possibili significati.
Ne è nato un racconto intenso e partecipato, tutt’altro che banale, sia sotto il profilo stilistico, sia nella chiave di lettura che le immagini, tutte calligraficamente a colori, riescono ad offrire.
Il tema, pur prestandosi a molteplici piani di lettura, indaga un’ipotesi semplice, figlia di una riflessione. Quella di capire se il lavorio degli anni è capace di lasciare, comunque sia, spazio per una piccola e divertente provocazione: quella di poter essere piacenti oltre l’illusorietà del “bello” a tutti i costi.
Per paradosso, ed estremizzando il ragionamento, ricordo un lavoro che è rimasto indelebilmente impresso nella mia memoria visiva: quello di Nathalie Luyer, pubblicato sulla rivista d’arte fotografica francese “Vis a Vis international” ancora alla fine degli anni ’80. Quello studio, basato su riprese b/w in puro stile fine-art, restituiva la nuda deformità di un corpo femminile sul quale il tempo, e la decadenza di una devastante obesità, avevano reso drammaticamente spoglie le illusioni (maschili, ma non solo) di un’identità femminile troppo spesso legata allo stereotipo di una donna sempre piacente, sensuale, perfetta, spesso “one-way” e “… attaccapanni delle vanaglorie maschili …”, come ha scritto, in una celebre poesia, Dacia Maraini riferendosi alle donne impellicciate…
Le fotografia di Sonia non si spingono a questo estremo, sia perché il soggetto rimane ritratto, con grande garbo e stile entro una fotografia che abbozza al “glamour”, sia perché la modella non è certamente confrontabile con “l’orrifica visione” della protagonista femminile delle – comunque geniali – immagini di Nathalie Luyer.
Come si diceva, fotografa e modella, basandosi su una specifica linearità di intenti, hanno fatto emergere dal telaio narrativo delle loro immagini, il significato che possiamo attribuire al valore del “tempo”, e di quello biologico in particolare. Un tempo che inesorabilmente trascorre e plasma la nostra corporeità e con essa la nostra percezione del sé e quella, tutta sociale, di come siamo considerati da coloro che con noi si relazionano e che osservano le nostre “mutazioni” fisiche ed estetiche. Le immagini di questa autrice, al pari di un taumaturgico talismano, sembrano volersi contrapporre a questa fondante evidenza esistenziale: è possibile fermare il tempo e lasciare che il nostro sguardo indugi, attraverso le relazioni chiaroscurali e grazie a ciò che si vede e ciò che si immagina sul corpo della modella, sull’idea di un’identità femminile scevra da gratuiti o scontati preconcetti. Questa delicata magia accade, non tanto, o non solo, per la prevedibile suadenza delle allusioni che gli scatti evocano sulla sensualità femminile, quanto piuttosto per una sottile ed eterea “atmosfera”, intima ed equilibrata, che avvolge, come un morbido drappeggio, tutto il set di immagini. L’intrigo è cosi svelato: le protagoniste, fotografa e modella, si rincorrono in un incessante gioco di specchi dentro i quali, ciascuna delle due, offrendosi a chi ritrae, o ritraendo chi si offre, ritrova un segnale forte della propria identità femminile e dei correlati valori esistenziali sul tema delle donne. Una riflessione acuta, attraverso una ricerca non facile da gestire e ancora più da proporre, che contempera quanto sia ancora ampio lo spettro di soluzioni che la fotografia è in grado di offrire ai temi della nostra contemporaneità sotto il profilo psicologico e sociale.
recensione a cura di Luca Chistè
(la mostra è visitabile fino al 30 marzo, dalle 10 alle 18)

Come si diceva, fotografa e modella, basandosi su una specifica linearità di intenti, hanno fatto emergere dal telaio narrativo delle loro immagini, il significato che possiamo attribuire al valore del “tempo”, e di quello biologico in particolare. Un tempo che inesorabilmente trascorre e plasma la nostra corporeità e con essa la nostra percezione del sé e quella, tutta sociale, di come siamo considerati da coloro che con noi si relazionano e che osservano le nostre “mutazioni” fisiche ed estetiche. Le immagini di questa autrice, al pari di un taumaturgico talismano, sembrano volersi contrapporre a questa fondante evidenza esistenziale: è possibile fermare il tempo e lasciare che il nostro sguardo indugi, attraverso le relazioni chiaroscurali e grazie a ciò che si vede e ciò che si immagina sul corpo della modella, sull’idea di un’identità femminile scevra da gratuiti o scontati preconcetti. Questa delicata magia accade, non tanto, o non solo, per la prevedibile suadenza delle allusioni che gli scatti evocano sulla sensualità femminile, quanto piuttosto per una sottile ed eterea “atmosfera”, intima ed equilibrata, che avvolge, come un morbido drappeggio, tutto il set di immagini. L’intrigo è cosi svelato: le protagoniste, fotografa e modella, si rincorrono in un incessante gioco di specchi dentro i quali, ciascuna delle due, offrendosi a chi ritrae, o ritraendo chi si offre, ritrova un segnale forte della propria identità femminile e dei correlati valori esistenziali sul tema delle donne. Una riflessione acuta, attraverso una ricerca non facile da gestire e ancora più da proporre, che contempera quanto sia ancora ampio lo spettro di soluzioni che la fotografia è in grado di offrire ai temi della nostra contemporaneità sotto il profilo psicologico e sociale.
recensione a cura di Luca Chistè
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venerdì 10 gennaio 2014
A sud del confine, a ovest del sole


Ripubblicato con una traduzione completamente rivista, "A sud del confine, a ovest del sole" è uno dei romanzi più amati di Murakami, un'opera intensa, delicata, malinconica e romantica, realista al punto da risultare talvolta tagliente, ma proprio per questo di una raffinata bellezza che non può essere ignorata. Perché l'esplorazione dei movimenti dell'anima - in cui lo scrittore giapponese riesce sempre perfettamente - descrive ancora una volta l'universale, umanissimo conflitto tra necessità e desiderio, destino e libertà.
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sabato 14 dicembre 2013
Lettera di Abramo Lincoln all'insegnante di suo figlio - 1830
“Il mio figlioletto inizia oggi la scuola:
per lui, tutto sarà strano e nuovo per un po’
e desidero che sia trattato con delicatezza.
È un’avventura che potrebbe portarlo ad attraversare continenti,
un’avventura che, probabilmente, comprenderà guerre, tragedie e dolore.
Vivere questa vita richiederà Fede, Amore e Coraggio.
Quindi, maestro caro, la prego di prenderlo per mano
e di insegnargli le cose che dovrà conoscere.
Gli trasferisca l’insegnamento, ma con dolcezza, se può.
Gli insegni che, per ogni nemico c’è un amico.
Dovrà sapere che non tutti gli uomini sono giusti,
che non tutti gli uomini sono sinceri.
Gli faccia però anche comprendere che, per ogni farabutto c’è un eroe,
che per ogni politico disonesto, c’è un capo pieno di dedizione.
Gli insegni, se può, che 10 centesimi guadagnati valgono molto di più di un dollaro trovato;
a scuola, o maestro, è di gran lunga più onorevole essere bocciato che barare.
Gli faccia imparare a perdere con eleganza
e, quando vince, a godersi la vittoria.
Gli insegni a esser garbato con le persone garbate
e duro con le persone dure.
Gli faccia apprendere anzitutto che i prepotenti sono i più facili da vincere.
Lo conduca lontano, se può, dall’invidia,
e gli insegni il segreto della pacifica risata.
Gli insegni, se possibile, a ridere quando è triste,
a comprendere che non c’è vergogna nel pianto,
e che può esserci grandezza nell’insuccesso e disperazione nel successo.
Gli insegni a farsi beffe dei cinici.
Gli insegni, se possibile, quanto i libri siano meravigliosi,
ma gli conceda anche il tempo di riflettere sull’eterno mistero degli uccelli nel cielo,
delle api nel sole e dei fiori su una verde collina.
Gli insegni ad aver fede nelle sue idee, anche se tutti gli dicono che sbaglia.
Cerchi di infondere in mio figlio la forza di non seguire la folla quando tutti gli altri lo fanno.
Lo guidi ad ascoltare tutti, ma anche a filtrare quello che ode con lo schermo della verità
e a prendere solo il buono che ne fuoriesce.
Gli insegni a vendere talenti e cervello al miglior offerente,
ma a non mettersi mai il cartellino del prezzo sul cuore e sull’anima.
Gli faccia avere il coraggio di essere impaziente
e la pazienza di essere coraggioso.
Gli insegni sempre ad avere suprema fede nel genere umano e in Dio.
Si tratta di un compito impegnativo, maestro, ma veda che cosa può fare.
È un bimbetto così grazioso, ed è mio figlio.”
per lui, tutto sarà strano e nuovo per un po’
e desidero che sia trattato con delicatezza.
È un’avventura che potrebbe portarlo ad attraversare continenti,
un’avventura che, probabilmente, comprenderà guerre, tragedie e dolore.
Vivere questa vita richiederà Fede, Amore e Coraggio.
Quindi, maestro caro, la prego di prenderlo per mano
e di insegnargli le cose che dovrà conoscere.
Gli trasferisca l’insegnamento, ma con dolcezza, se può.
Gli insegni che, per ogni nemico c’è un amico.
Dovrà sapere che non tutti gli uomini sono giusti,
che non tutti gli uomini sono sinceri.
Gli faccia però anche comprendere che, per ogni farabutto c’è un eroe,
che per ogni politico disonesto, c’è un capo pieno di dedizione.
Gli insegni, se può, che 10 centesimi guadagnati valgono molto di più di un dollaro trovato;
a scuola, o maestro, è di gran lunga più onorevole essere bocciato che barare.
Gli faccia imparare a perdere con eleganza
e, quando vince, a godersi la vittoria.
Gli insegni a esser garbato con le persone garbate
e duro con le persone dure.
Gli faccia apprendere anzitutto che i prepotenti sono i più facili da vincere.
Lo conduca lontano, se può, dall’invidia,
e gli insegni il segreto della pacifica risata.
Gli insegni, se possibile, a ridere quando è triste,
a comprendere che non c’è vergogna nel pianto,
e che può esserci grandezza nell’insuccesso e disperazione nel successo.
Gli insegni a farsi beffe dei cinici.
Gli insegni, se possibile, quanto i libri siano meravigliosi,
ma gli conceda anche il tempo di riflettere sull’eterno mistero degli uccelli nel cielo,
delle api nel sole e dei fiori su una verde collina.
Gli insegni ad aver fede nelle sue idee, anche se tutti gli dicono che sbaglia.
Cerchi di infondere in mio figlio la forza di non seguire la folla quando tutti gli altri lo fanno.
Lo guidi ad ascoltare tutti, ma anche a filtrare quello che ode con lo schermo della verità
e a prendere solo il buono che ne fuoriesce.
Gli insegni a vendere talenti e cervello al miglior offerente,
ma a non mettersi mai il cartellino del prezzo sul cuore e sull’anima.
Gli faccia avere il coraggio di essere impaziente
e la pazienza di essere coraggioso.
Gli insegni sempre ad avere suprema fede nel genere umano e in Dio.
Si tratta di un compito impegnativo, maestro, ma veda che cosa può fare.
È un bimbetto così grazioso, ed è mio figlio.”
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lunedì 9 dicembre 2013
Curarsi con i libri
Dallo stress al mal d'amore, c'è un rimedio letterario per ogni problema. I
libri curano tutto? Pare proprio di sì. Si può curare il cuore spezzato con
Emily Brontë e il mal d’amore con Fenoglio, l’arroganza con Jane Austen e il mal
di testa con Hemingway, l’impotenza con Il bell’Antonio di Vitaliano Brancati, i
reumatismi con il Marcovaldo di Italo Calvino, o invece ci si può concedere un
massaggio con Murakami e scoprire il romanzo perfetto per alleviare la
solitudine o un forte tonico letterario per rinvigorire lo spirito. Questo
suggeriscono le ricette di un libro di medicina molto speciale, un vero e
proprio breviario di terapie romanzesche, antibiotici narrativi, medicamenti di
carta e inchiostro, ideato e scritto da due argute e coltissime autrici inglesi
e adattato per l’Italia da Fabio Stassi, autore de L’ultimo ballo di Charlot.
Se letto nel momento giusto un romanzo può davvero cambiarci la vita, e questo
prontuario è una celebrazione del potere curativo della letteratura di ogni
tempo e paese, dai classici ai contemporanei, dai romanzi famosissimi ai libri
più rari e di culto, di ogni genere e ambizione. Queste ricette per l’anima e il
corpo, scritte con passione, autorevolezza ed elegante umorismo, propongono un
libro e un autore a rimedio di ogni nostro malanno, che si tratti di raffreddore
o influenza, di un dito del piede annerito da un calcio maldestro o di un severo
caso di malinconia. Le prescrizioni raccontano le vicende e i personaggi di
innumerevoli opere, svelano aneddoti, tratteggiano biografie di scrittori
illustri e misconosciuti, in un invito ad amare la letteratura che ha la
convinzione di poter curare con efficacia ogni nostro acciacco. Non mancano
consigli per guarire le idiosincrasie tipiche della lettura, come il sentirsi
sopraffatti dal numero infinito di volumi che ci opprimono da ogni scaffale e
libreria, o il vizio apparentemente insanabile di lasciare un romanzo a metà.
fonte: AdnKronos

fonte: AdnKronos
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