lunedì 2 aprile 2012

L'Italian Style in un libro

Dal “circo Barnum” della moda all’università: 40 anni di memorie, e cioè lo sterminato archivio raccolto da Barbara Vitti, first lady delle pierre italiane, cambiano destinazione.
E ne nasce anche un libro (a più voci): Professione Pr. Immagine e comunicazione nell’Archivio Vitti (Skira). Lei, sapiente regista della pubbliche relazioni, per una volta passa dall’altra parte: tutti la vogliono, la intervistano, cercano di stanarla...

Come sta?
«Bene, anzi sono un po’ stanca. Perché ho una certa età, perché tutti vogliono sapere qualcosa del libro, anche i segreti. Ma quelli non li posso dire».
Intanto parliamo di questo, che già è speciale: nasce con una donazione.
«Sì, ho donato tutto il mio archivio all’università di Milano, al Centro moda immagine».
La sua vita professionale diventa materia di studio per le generazioni future. Che effetto le fa?
«Ho sentito il bisogno (forse dovuto al fatto che ho un nipote di 18 anni, che ora studia a Washington) di lasciare ai giovani la mia esperienza di 40 anni nella moda. Perché possano toccare, vedere, condividere i miei ricordi...».
La nascita dell’Italian Style non l’hanno vista, loro. Lei, invece, ne ha di cose da raccontare...
«Mi hanno anche chiamato dalle scuole per presentare il libro, d’altronde io avevo già tenuto un corso di comunicazione allo Ied, cercando tra l’altro di lavorare con i miei studenti con una certa disciplina. Quei tre o quattro che arrivavano in ritardo, be’, in un giorno ho fatto cambiare loro idea e sono diventati puntuali. Abbiamo eliminato intervalli inutili, ridisposto i banchi per creare affiatamento... E soprattutto ho fatto capire loro che quel master si poteva frequentare solo alle mie condizioni: la massima correttezza. Poi è stato bellissimo. Li ho portati alle sfilate, ho permesso loro di vivere la realtà della moda. Il libro nasce da questa esperienza».
La sua serietà e il suo rigore sono leggendari...
«Ho avuto un’infanzia difficile e una mamma fantastica. A 13 anni ho perso un fratello e ho capito che dovevo prendermi le mie responsabilità: cucinare, tenere in ordine la casa, aiutare mia madre che faceva la giornalista... Cose che ti rimangono dentro».Che cos’è in poche parole il lavoro di pierre, nella moda?
«Per me ogni volta era come una sfida, mi sono occupata dalla pubblicità alla sfilata, con molto interesse per tutto. È utile anche lo stage in un giornale, per capire come funziona il rapporto tra case di moda ed editoria».
Ha detto: un lavoro che un giorno amavo e un giorno odiavo...
«Pensi soltanto alle sfilate: durante i preparativi non c’è quasi distinzione tra il giorno e la notte...».
Lei ha avuto intuizioni davvero brillanti.
«Un giorno osservai che sui muri delle città c’erano solo pubblicità di detersivi. Peccato, no? Proposi allora di pubblicizzare l’Emporio Armani su maxicartelloni. Un’altra volta pensai di fare pubblicità del marchio sull’Unità (all’epoca, un gesto choc, ndr) per una ragione culturale. Volevo che quel mondo, il suo valore, fosse conosciuto. Poco dopo lo stilista fu chiamato a firmare un articolo in prima pagina. E ne parlò tutto il mondo».

fonte: Gabriella Cherubini - Grazia online

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