
Prendete il caso di Simonetta Agnello Hornby. Di libri ne ha sfornati due in poco meno di un anno. L’ultimo si intitola La cucina del buon gusto ed è in classifica da diverse settimane. Chiuso il quaderno “un po’ sbiadito” e macchiato da “ditate di strutto della nonna” che nel precedente Un filo d’olio aveva garantito fasti notevoli alle casse, la scrittrice ha continuato a pescare nella memoria familiare, convincendosi che preparare tramezzini da servire col tè delle cinque non è affatto male. Dedicarvisi, al contrario, è “uno sfogo di rabbia, energia repressa, dolore nascosto”, un tentativo di ripescare i ricordi di un tempo. Quasi meglio di una seduta di analisi.
Il ricettario come feticcio dunque? Forse. Se non altro è una petit madeleine cui aggrapparsi, come nelle Ricette di famiglia di Roberto Barbolini, il più sobrio e letterario di questi romanzi, dove fra una lepre arrosto e una torta di riso si racconta la storia di una provincia che non c’è più, animata da nonne coi capelli bianchi tinti di azzurro e baby-sitter che si chiamano ancora tate...
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fonte: Filippomaria Battaglia - Panorama.it
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