Prima viene la Bibbia. Seconda la biografia del profeta Steve Jobs. Al sesto posto le tavole delle legge di Timothy Ferris, il guru di «4 ore alla settimana per il tuo corpo» («Regola numero 1: evitate i carboidrati “bianchi”»). Sono tra i libri più sottolineati di Amazon, riduzione digitale della biblioteca di Babele. La classifica è affidabilissima (e discutibilissima aggiungo io) perché siamo noi inavvertitamente a compilarla quando, leggendo un ebook, evidenziamo con un dito un passaggio che ci piace. A quel punto l’algoritmo calcola quante altre persone hanno segnato lo stesso titolo o apprezzato la stessa frase e compila la graduatoria sul sito. Così la lettura diventa statistica. Social. I libri degli altri diventano i nostri. Non necessariamente dall’inizio alla fine, magari solo alcune righe rimarchevoli. Tra qualche anno, alla domanda «l’hai letto?», si potrà rispondere senza mentire «sì, ma solo le dieci frasi più annotate». Probabilmente Borges non sarebbe contento. Bauman, invece, potrebbe intenderlo come l’ennesimo inveramento della «modernità liquida», con tutta la frammentarietà che l’accompagna.
Filosofie a parte, il salto è davvero forte. E di recente sempre più persone si sono convinte a farlo. Il mercato ratifica la tendenza. L’inglese Penguin ha appena annunciato che i suoi introiti da ebook sono raddoppiati in un anno e costituiscono il 12 per cento del fatturato. Sempre in Gran Bretagna è avvenuto il sorpasso dei titoli elettronici rispetto alle nuove uscite in brossura, 35 mila contro 28 mila nel 2011.
Accelerazione fortissima anche in Italia: 1600 titoli nel 2009, 7000 un anno dopo e quasi 20 mila all’ultimo Natale. Il problema, da noi, è che tanta offerta partorisce per il momento solo lo 0,1 per cento del fatturato. Ma a giudicare dall’attivismo editoriale sembra chiaro a tutti che il conto economico cambierà in fretta. Chi supera l’ostacolo culturale difficilmente torna indietro. L’argomento dei tradizionalisti è quello cui Luciano De Crescenzo aveva appiccicato un’etichetta fortunata: «libridine», ovvero il godimento di avere tra le mani l’oggetto di carta. L’esperienza tattile si perde, e non è perdita da poco, ma quella cognitiva viene aumentata in così tanti modi che nel complesso la compensa con gli interessi.
fonte: Riccardo Staglianò - la Repubblica.it
Filosofie a parte, il salto è davvero forte. E di recente sempre più persone si sono convinte a farlo. Il mercato ratifica la tendenza. L’inglese Penguin ha appena annunciato che i suoi introiti da ebook sono raddoppiati in un anno e costituiscono il 12 per cento del fatturato. Sempre in Gran Bretagna è avvenuto il sorpasso dei titoli elettronici rispetto alle nuove uscite in brossura, 35 mila contro 28 mila nel 2011.
Accelerazione fortissima anche in Italia: 1600 titoli nel 2009, 7000 un anno dopo e quasi 20 mila all’ultimo Natale. Il problema, da noi, è che tanta offerta partorisce per il momento solo lo 0,1 per cento del fatturato. Ma a giudicare dall’attivismo editoriale sembra chiaro a tutti che il conto economico cambierà in fretta. Chi supera l’ostacolo culturale difficilmente torna indietro. L’argomento dei tradizionalisti è quello cui Luciano De Crescenzo aveva appiccicato un’etichetta fortunata: «libridine», ovvero il godimento di avere tra le mani l’oggetto di carta. L’esperienza tattile si perde, e non è perdita da poco, ma quella cognitiva viene aumentata in così tanti modi che nel complesso la compensa con gli interessi.
fonte: Riccardo Staglianò - la Repubblica.it
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