La trama di tutti i romanzi di Gabriele D'Annunzio, eccetto uno, ''Le vergini delle rocce'', è ''a base di relazioni peccaminose''. Fu questo uno dei principali capi di accusa che portarono il Sant'Uffizio a condannare nel 1911 l'opera del Vate mettendola all'Indice dei Libri proibiti. A leggere i romanzi dello scrittore, rimanendone scandalizzato anche per il paganesimo e la blasfemia, fu - per conto del collegio dei cardinali della Sacra Congregazione dell'Indice - padre Giuseppe Maria Checchi da Monterotondo, appartenente all'Ordine dei Frati minori cappuccini, che il 15 febbraio 1911 consegnò la sua relazione di condanna.
La documentazione inedita degli Archivi Vaticani è presentata nel saggio ''Gabriele d'Annunzio e la Santa Sede'' di Matteo Brera, professore di letteratura italiana presso il Dipartimento di Lingue e Culture Europee dell'Universita' di Edimburgo, pubblicata sulla rivista ''Quaderni del Vittoriale''
Il frate cappuccino trovò immediadamente una serie di dati a suo giudizio inattaccabili per sostenere il suo capo d'imputazione. Già dal primo romanzo, ''Il piacere'' (1889), l'accusa rilevò una prima, inappuntabile conferma: Andrea Sperelli, il protagonista dell'opera, era un ''nobile libertino, che passa di amore in amore, lascia ed è lasciato, tenta le più oneste, e fa cadere le più coscienziose''. Padre Checchi considerò la figura di Sperelli come proiezione di d'Annunzio, specie quando afferma ''l'ideale suo''. ''E' tutto il d'Annunzio'', concludeva padre Checchi dopo l'esame del libro...
fonte: AdnKronos
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venerdì 13 luglio 2012
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