domenica 11 novembre 2012

Nel pianto del bimbo il dolore del mondo

Mariapia Veladiano ha sviluppato il suo romanzo - "Il tempo è un dio breve" - affrontando arditamente un tema che ha assillato nei millenni filosofie e religioni. E’ il problema del male, tanto più incomprensibile e inaccettabile quando colpisce gli innocenti, in primo luogo i bambini: «Una sera ti giri perché senti tuo figlio piangere e senza che nulla lo abbia annunciato scopri il dolore del mondo». E’ il Leitmotiv del romanzo, che trova varia esemplificazione nella sorte di piccole creature indifese e che innesca un doloroso conflitto nell’animo della protagonista. Ildegarda deve confrontarsi con il pur amatissimo marito Pierre. Questi, in seguito a un’infanzia travagliata, ha maturato un cupo pessimismo che lo induce a ritenere imperdonabile l’assunzione della paternità, la responsabilità di mettere al mondo un figlio. E’ così infelice che non sa abbandonarsi «anche solo per poco, un’ora, un minuto, all’andare confuso e gagliardo della vita».

A questo spirito negativo (estremizzato con qualche inverosimiglianza in funzione simbolica) si contrappone la dedizione della moglie per il piccolo Tommaso, un amore capace di dissipare ogni sofistico o lacerante presagio. Ma ecco che una subdola malattia minaccia di strapparle il figlioletto. E allora Ildegarda ingaggia un’altra contesa, non più con il suo uomo, irrecuperabile e fuggiasco, ma con un Dio invisibile che sembra non darsi pena per le sue creature. Ha studiato teologia, ha confidenza con la mistica e sa bene come metterlo spavaldamente alle strette. Fino a contestargli, per larghi giri, la pervasività di un male che ha inquinato la Storia ben prima della sua salvifica venuta sulla terra. Travolta dalla disperazione, arriva a stringere un patto con Dio, a offrirgli la propria vita, scambiandola con quella di Tommaso. Mi astengo, doverosamente, dall’indicare le conseguenze del patto e il minuto percorso della trama. Segnalo soltanto il fascino delle lunghe vacanze compiute da Ildegarda tra le nevi dell’Alto Adige, dove una natura incorrotta sembra propiziare le frequentazioni dell’Assoluto. Là conosce Dieter, un pastore luterano che, dopo avere perso un figlio, ha rischiato di perdere la fede. Nasce tra loro, nel parallelismo sbilenco di una disgrazia avvenuta o temuta, un forte legame affettivo. Ma l’affinità intellettuale e spirituale si irrobustisce e quasi si illimpidisce nel fisico abbandono. Senza imbarazzi o rimorsi, perché Ildegarda, nella sua fedeltà alla vita, è persuasa che, se esiste resurrezione, ha bisogno anche del corpo per renderci felici...


fonte & read more @ La Stampa.it

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