sabato 2 novembre 2013

"La carta più alta" di M. Malvaldi

«Non è che tutti gli anni possono ammazzare qualcuno per farvi passare il tempo», sbotta disperato Massimo il barrista (sì, con la doppia erre, volutamente!). Ma è impossibile sottrarsi al nuovo intrigo in cui stanno per trascinarlo i quattro vecchietti del BarLume, adepti della pensione, una di quelle tradizioni italiche d'altri tempi, destinate a sparire".

E già con una spassosa premessa di questo tipo, "La carta più alta" - il giallo di Marco Malvaldi - non può che lasciare intendere un proseguo altrettanto irriverente.

Dalla vendita sottoprezzo di una villa lussuosa, i pensionati - investigatori per amor di paesana maldicenza, oltre che titolari di sano buontempo - sono arrivati a dedurre l’omicidio del vecchio proprietario, morto ufficialmente di un male rapido e inesorabile. Massimo il barrista (sì, rivolutamente con la doppia erre!), ormai in balìa dei vecchietti che stanno abbarbicati tutto il giorno al tavolino sotto l’olmo del suo bar nel paese immaginario e tipico di Pineta, trasforma controvoglia quel fiume di malignità e di battute in un'indagine. Il suo lavoro d’intelletto investigativo si risolve grazie a un’intuizione che permette di ristrutturare le informazioni durante un noioso ricovero ospedaliero, proprio come avviene nei classici del giallo deduttivo.

E a questo genere apparterrebbero, data la meccanica dell’intreccio, i romanzi del BarLume, se non fosse per le convincenti e fresche innovazioni che vi aggiunge di volta in volta Marco Malvaldi. La situazione comica dei quattro temibili vecchietti che sprecano allegramente le giornate tra battute diatribe e calunnie, diventa base informativa e controcanto farsesco di fondamentale importanza al mistero. La rappresentazione, umoristica e irriverente insieme, della realtà della provincia italiana nel suo localismo, nel suo vitalismo e nel suo eccentrico civismo, si ritrova così incarnata in un paesino balneare della costa toscana, da dove passano e ripassano i personaggi di un'italica commedia in forma di giallo.

Dopo la felice digressione ottocentesca - con tanto di Pellegrino Artusi tra i personaggi principali, alle prese con un delitto - di "Odore di chiuso", Malvaldi torna al languore balneare e un po’ indolente di Pineta. Questa volta gli investigatori - fautori della nobile arte del "farsi i fattacci altrui" - sono Ampelio, Aldo il ristoratore, Il Rimediotti e il Del Tacca del Comune. Questi quattro ineffabili gourmet di semolino stanno sulla pagina con la disinvolta allure di un A-Team di ottuagenari, pronti ad ogni piè sospinto a rivendicare il loro diritto a mangiare – ché mangiare gli garba parecchio – a “giocà” a carte o biliardo e fumare qualche sigaretta: arrivati al punto in cui sono arrivati, l’invulnerabilità è a un passo.
A fare da contrappunto al loro incessante borbottìo, che sparge fiele sulle cose del mondo facendo nel contempo piegare in due il lettore dalle risate, c’è Massimo, che ha da poco cambiato casa, divorziato, perso la sua banconista preferita, la "bona" e giovane Tiziana, e acquisito - oltre alla squadra paesan-investigativa più veritiera di questa parte id mondo - una vicina di casa che frigge dalla mattina alla sera alimenti non meglio precisati in oli non meglio precisati, impestando l’aria e guastando al nostro barrista l’umore. Massimo farebbe volentieri a meno di cacciare il naso in una storia vecchia di vent’anni, e della quale non è affatto convinto. Ma il caso ci mette lo zampino - oltre che una radice sporgente - e una catena di eventi scalda i motori per mettersi in moto come un diesel: lenta ma inesorabile.
"La carta più alta" riesce in una di quelle alchimie cui il chimico (ché chimico nella vita l'autore lo è per davvero!) Malvaldi ci ha abituati, imbastendo un intreccio spassosissimo (azz, sei esse!) e ben strutturato che viaggia in parallelo alla splendida caratterizzazione dei personaggi e ai loro esilaranti dialoghi.
Un giallo che va giù come té freddo al limone, tracannato alle due di pomeriggio, sotto la canicola di pieno luglio, che consiglio vivamente: perché con Malvaldi, ancora una volta si ride, ci si immedesima e si vuol bene a Massimo il barrista (sì, ri-rivolutamente con la doppia erre!) e ai suoi fantastici vecchietti: chi non vorrebbe avere personaggi del genere nel proprio paese?

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