Otto monologhi al femminile. Una suora assatanata, una
donna ansiosa e una donna in carriera, una vecchia bisbetica e una vecchia
sognante, una giovane irrequieta, un'adolescente crudele e una donna-lupo. Un
continuum di irose contumelie, invettive, spasmi amorosi, bamboleggiamenti,
sproloqui, pomposo sentenziare, ammiccanti confidenze, vaneggiamenti sessuali,
sussurri sognanti, impettite deliberazioni. Uno "spartito" di voci, un'opera
unica, fra teatro e racconto. Una folgorazione. Tra un monologo e l'altro, sei
poesie e due canzoni. Per non farvi stare troppo sulle spine, sciogliamo subito l'enigma: si parla di Stefano Benni e dei personaggi del suo ultimo lavoro, trascrizione di uno spettacolo andato in scena al Teatro dell'Archivolto di Genova dal titolo "Le Beatrici".
Monologhi creati per il teatro, inframmezzati da canzoni e ballate a volte mai cantate, come l'ultimo, malinconico congedo che l'amico Fabrizio De André non fece in tempo a musicare. Un'occasione, secondo Benni, per mostrare al pubblico che la luce bluastra della televisione lascia in ombra una quantità enorme di attrici brave e meritevoli, più belle e "vere" delle più note starlette del piccolo schermo.
Splendida come sempre la penna dell'autore che dà voce a queste Beatrici irriverenti, sedute sul ciglio della cattiva strada più che sulla via che porta all'Empireo. Eppure, tra le ipocrisie retoriche e i degradanti sguardi che uomini e ominicchi di varia statura dedicano ultimamente alle donne, la parola teatrale e la risata di queste figure salvifiche, coraggiose, reiette e licantrope ci cattura - con un sorriso - come gesto politico e come atto di resistenza.
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