domenica 2 dicembre 2012

Oliver Sacks: "I miei viaggi con l’Lsd"

L’arte, il folklore, forse anche la religione, sono frutto di allucinazioni? Viene naturale chiederselo, sentendo il dottor Oliver Sacks che presenta il suo nuovo libro, "Hallucinations" (Knopf). Una collezione di vicende personali, visite con pazienti, storie di personaggi famosi come gli scrittori Lewis Carroll e Dostoevskij, che riconducono quasi tutte allo stesso punto di partenza: le allucinazioni sono porte aperte sul paradiso, o fenomeni che la scienza può perfettamente spiegare?

Sacks, diventato famoso in tutto il mondo con il libro e il film Risvegl, insegna ancora neurologia a New York. Sale sul palco con una bottiglietta piena di un liquido trasparente, che ogni tanto sorseggia. Non a caso, comincia raccontando i fatti propri.

«Alla mia età, quasi ottant’anni, non c’è più ragione di nascondere le cose. Perciò ho deciso di rivelare anche gli esperimenti personali che ho fatto con gli allucinogeni. Negli Anni Sessanta, quando lavoravo in California, dedicavo i weekend a questi viaggi. Prendevo un po’ di anfetamine, a cui penso di essere stato dipendente, un poco di Lsd, e ci aggiungevo una spruzzata di cannabis, tanto per rendere più piacevole l’effetto. La sensazione era magnifica. Ricordo che una volta, presa questa miscela, mi dissi: adesso voglio vedere il colore indaco, proprio ora. Partii immediatamente per un viaggio, che mi mostrò un capolavoro cromatico che nemmeno Giotto era mai riuscito a realizzare. Ho provato molte volte a replicare quell’esperienza nella realtà, e forse ci sono riuscito una volta, durante un concerto nelle sale della collezione egizia al Metropolitan Museum. Nulla, però, mi ha più dato le stesse emozioni che avevo provato con gli allucinogeni».

Perché ha smesso?
«Avevo usato anche le iniezioni di morfina, e ho avuto paura di diventare tossicodipendente».

Le sue allucinazioni erano indotte da queste sostanze. Quali sono stati, invece, gli episodi professionali che l’hanno colpita di più?
«Due colleghi, neurochirurghi, che a causa di incidenti diversi avevano sperimentato allucinazioni e cambiamenti di personalità. Uno aveva scoperto la musica classica, si era innamorato di Chopin, e aveva iniziato a comporre. L’altro aveva scoperto Dio. Il primo venne da me e mi disse: so che sono diventato una persona diversa, analizza il mio cervello per capire cosa è successo. Il secondo, invece, mi spiegò che secondo lui Dio gli parlava direttamente, senza fare uso del suo cervello».

Perché li considera episodi così importanti?
«Posso capire che una persona soggetta alle allucinazioni pensi di entrare in contatto con il divino, e lo accetto. Ma un neurologo che nega l’utilità del cervello per percepire certe esperienze, e sostiene che Dio gli infonde direttamente le sue sensazioni, è una negazione della scienza che mi lascia molto perplesso».

Non accetta la dimensione divina di questi fenomeni?
«Dostoevskij era epilettico, e sosteneva di aver visto Dio, durante uno di questi attacchi. In seguito cambiò idea. Quasi tutte le persone che hanno avuto esperienze extracorporali, in coma o vicino alla morte, le descrivono nella stessa maniera: buio e paura, poi una luce viva che li attrae, e la sensazione di compiere un viaggio che li porta in un luogo identificabile con il paradiso. Poi il ritorno, anche se alcuni sostengono di essere entrati effettivamente nel paradiso, e aver percepito la gioia della completa comunione con Dio. Capisco questi fenomeni, anche se la scienza è in grado di spiegarli con varie cause: l’assunzione di sostanze, la cecità, la febbre, le malattie, la mancanza di sonno, incidenti e traumi di vario genere. Fatico però a comprendere uno scienziato che nega se stesso, e va contro le sue conoscenze più radicate e dimostrate».

Lei ha accennato a Dostoevskij, e nel libro parla anche di arte e altri aspetti della cultura umana legati alle allucinazioni. Quanto è forte questo legame?
«In alcuni casi è molto intenso. Lewis Carroll soffriva di emicrania, ed è lecito pensare che alcune visioni di Alice nel Paese delle meraviglie siano state ispirate da questa sua condizione. Però un conto è l’ispirazione artistica, e un altro la rivelazione religiosa: la capisco, nel caso delle allucinazioni, ma la scienza non la prova e io resto un ateo convinto».

Quale consolazione le rimane, se tutte le esperienze del nostro cervello sono solo frutto di combinazioni chimiche?
«Io traggo le mie gioie dalle espressioni della cultura umana, la musica in particolare: quella di Mozart mi trasporta e penso che sia paradisiaca. Anche la scienza mi dà alcune soddisfazioni. Però non credo nell’immortalità e penso che, se esistesse, farebbe un grave danno al genere umano. Io mi accontento di vivere ancora qualche anno in buona salute, per provare ancora le mie gioie, e poi togliere il disturbo».

fonte: La Stampa.it

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