lunedì 24 marzo 2014

"Donna... sensualità senza tempo", le fotografie di Sonia Calzà in mostra

Il progetto fotografico "Donna... sensualità senza tempo" di Sonia Calzà esposto presso il Palazzo Panni di Arco (TN), nato per gioco o, forse, per una semplice casualità delle cose, cela al proprio interno un’idea importante, legata ad un costante retro pensiero che accompagna l’esperienza esistenziale di ciascuno di noi: il tempo che scorre e il modo in cui esso leviga, riplasmandoli, i corpi femminili. Un rapporto, quello con il trascorre del tempo, che non è legato solamente ad una trasformazione fisica della propria corporeità, ma anche al modo in cui esso si riflette nella percezione del sé, sotto il profilo psicologico e sociale. Sonia Calzà, con la creativa complicità della sua “modella”, vive da tempo, con impegno ed ottimi risultati espressivi, la passione per la fotografia e, rapita da una folgorazione creativa, si è ritrovata a riprendere, prima per divertimento, e poi molto seriamente, una dimensione femminile intrigante e spiazzante.  

Sono state prodotte riprese spontanee, la cui realizzazione si è accompagnata, quasi interattivamente, con una forte concettualizzazione sul risultato ed i suoi possibili significati. Ne è nato un racconto intenso e partecipato, tutt’altro che banale, sia sotto il profilo stilistico, sia nella chiave di lettura che le immagini, tutte calligraficamente a colori, riescono ad offrire. Il tema, pur prestandosi a molteplici piani di lettura, indaga un’ipotesi semplice, figlia di una riflessione. Quella di capire se il lavorio degli anni è capace di lasciare, comunque sia, spazio per una piccola e divertente provocazione: quella di poter essere piacenti oltre l’illusorietà del “bello” a tutti i costi. Per paradosso, ed estremizzando il ragionamento, ricordo un lavoro che è rimasto indelebilmente impresso nella mia memoria visiva: quello di Nathalie Luyer, pubblicato sulla rivista d’arte fotografica francese “Vis a Vis international” ancora alla fine degli anni ’80. Quello studio, basato su riprese b/w in puro stile fine-art, restituiva la nuda deformità di un corpo femminile sul quale il tempo, e la decadenza di una devastante obesità, avevano reso drammaticamente spoglie le illusioni (maschili, ma non solo) di un’identità femminile troppo spesso legata allo stereotipo di una donna sempre piacente, sensuale, perfetta, spesso “one-way” e “… attaccapanni delle vanaglorie maschili …”, come ha scritto, in una celebre poesia, Dacia Maraini riferendosi alle donne impellicciate… Le fotografia di Sonia non si spingono a questo estremo, sia perché il soggetto rimane ritratto, con grande garbo e stile entro una fotografia che abbozza al “glamour”, sia perché la modella non è certamente confrontabile con “l’orrifica visione” della protagonista femminile delle – comunque geniali – immagini di Nathalie Luyer.

Come si diceva, fotografa e modella, basandosi su una specifica linearità di intenti, hanno fatto emergere dal telaio narrativo delle loro immagini, il significato che possiamo attribuire al valore del “tempo”, e di quello biologico in particolare. Un tempo che inesorabilmente trascorre e plasma la nostra corporeità e con essa la nostra percezione del sé e quella, tutta sociale, di come siamo considerati da coloro che con noi si relazionano e che osservano le nostre “mutazioni” fisiche ed estetiche. Le immagini di questa autrice, al pari di un taumaturgico talismano, sembrano volersi contrapporre a questa fondante evidenza esistenziale: è possibile fermare il tempo e lasciare che il nostro sguardo indugi, attraverso le relazioni chiaroscurali e grazie a ciò che si vede e ciò che si immagina sul corpo della modella, sull’idea di un’identità femminile scevra da gratuiti o scontati preconcetti. Questa delicata magia accade, non tanto, o non solo, per la prevedibile suadenza delle allusioni che gli scatti evocano sulla sensualità femminile, quanto piuttosto per una sottile ed eterea “atmosfera”, intima ed equilibrata, che avvolge, come un morbido drappeggio, tutto il set di immagini. L’intrigo è cosi svelato: le protagoniste, fotografa e modella, si rincorrono in un incessante gioco di specchi dentro i quali, ciascuna delle due, offrendosi a chi ritrae, o ritraendo chi si offre, ritrova un segnale forte della propria identità femminile e dei correlati valori esistenziali sul tema delle donne. Una riflessione acuta, attraverso una ricerca non facile da gestire e ancora più da proporre, che contempera quanto sia ancora ampio lo spettro di soluzioni che la fotografia è in grado di offrire ai temi della nostra contemporaneità sotto il profilo psicologico e sociale.

recensione a cura di Luca Chistè

(la mostra è visitabile fino al 30 marzo, dalle 10 alle 18)

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