
Ecco perché quello di “Standing Open” non è solo un calambour fotografico ma un vero e proprio lavoro di metafotografia: con questo progetto l’autrice sviluppa un discorso sul libro fotografico, e ne fa materiale per la propria creazione. L’effetto è quello di una gemmazione: dalle opere dei fotografi nascono libri; nell’epoca della smaterializzazione dell’immagine, dall’esperienza cartacea, tattile e visiva allo stesso tempo, propria del libro fotografico, nasce a sua volta un valore estetico autonomo e tutto nuovo di quest’ultimo.
In sostanza, l’idea di un contenuto che svelandosi a tratti stimola un atto voyeuristico, che si perde nell’istante stesso in cui si genera, stemperato dalla fisicità della carta, dalla tridimensionalità che consegue alla metodica scelta creativa (ogni libro fotografato in close-up, ponendolo in piedi di fronte all’obiettivo, e illuminandolo con luce naturale), dal ritmo visivo (a volte matematico come in un codice a barre, ma spesso reso più vivo da un sapiente senso di casualità) delle pagine, del gioco fra i loro piani e la loro terza dimensione.
fonte: Paolo Borghi/Fiaf & www.maryellenbartley.com/top-stain
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