domenica 26 ottobre 2014

"I know what I like", la Genesis-App: Armando Gallo (si) racconta...

Una lista di 18 domande, per un'intervista oltreoceano programmata via Skype, finita nel cestino dopo pochi minuti. Per dare - al contrario - ampio spazio ad una piacevole chiacchierata tra amici di lunga data, Armando Gallo (storico giornalista, scrittore, fotografo rock, leggenda vivente nel mondo della musica) e Marco Olivotto (musicista, tecnico del suono, produttore, esperto di post-produzione fotografica, leggenda vivente nel mondo della correzione del colore) entrambi di origini italiane, ma interamente registrata in lingua inglese.

... un'amicizia di lunga data, quella tra Armando Gallo e Marco Olivotto (1991)...

Il risultato di questa conversazione, che spazia dalla musica alla fotografia, dalla post-produzione alle coincidenze della vita (esistono davvero?), non è né un'intervista nel senso stretto della parola né una raccolta di domande e risposte. E' piuttosto un preziosissimo contributo che va a colmare una falla presente quasi da sempre nella storia della musica, quella che noi comuni mortali conosciamo (ovvero, quella che ci è data di conoscere), e che ci permette - attraverso una storia personale e professionale - di mettere il naso in un mondo per certi aspetti ancora oggi precluso ai profani, riservato solo agli "addetti ai lavori".

Cosa succede dietro le quinte? A dare il "La" a questa chiacchierata con Armando Gallo, la recentissima pubblicazione di una sua App per iPad sulla storia del gruppo musicale dei Genesis, chiamata “I Know What I Like”, e il coinvolgimento in essa di Marco Olivotto. Il messaggio finale va però molto al di là della musica, della fotografia, della post-produzione, perché tocca le corde invisibili che gesticono la nostra vita. Che - ben sapendo quel che (ci) piace - perfettamente si uniscono, si intrecciano, giocano, creando situazioni, incontri, coincidenze che (spesso a nostra insaputa) determinano il corso degli eventi, disegnano e colorano in modo inaspettato e imprevedibile lo sfondo sul quale poi noi costruiamo il nostro presente.

L'introduzione e l'intervista - suddivisa in più trance, a causa della sua lunghezza (non fermatevi al primo brano: leggete tutto, perché merita davvero) - sono disponibili sia in lingua originale sia nella sua traduzione in italiano . E' una chicca come pochissime altre, introvabile e unica nel suo genere, rivolta non solo agli appassionati di musica, di storia della musica, di fotografia, ma anche e soprattutto a chi ama ciò che fa. Qualsiasi cosa essa sia...

 
 

venerdì 24 ottobre 2014

Le "Immagini del settimo giorno" di Michael Kenna

"Il settimo giorno, come ci dice il libro della Genesi, Dio - completata la creazione del mondo - si riposa. Shabbat è appunto, la festa del riposo. Perché, davanti alle fotografie di Michael Kenna che nel 2010 hanno formato la mostra di Palazzo Magnani a Reggio Emilia, mi viene spontaneo ricorrere a questa evocativa suggestione, che a qualcuno potrebbe apparire criptica o impropria? Perché da quando conosco il lavoro di Michael, vi ho sempre immediatamente colto, e amato, una sorta di respiro lento e profondo del mondo, un dilatarsi dello scorrere del tempo, come se il silenzio fosse finalmente sceso sulla terra, e ciò che sbrigativamente e con scarsa consapevolezza del suo senso profondo chiamiamo paesaggio a noi si offrisse nel suo incanto segreto, e nella sua essenza più vera. Non ci sono persone nelle fotografie di Kenna, né tantomeno volti e corpi che sviino la nostra attenzione dalle pure linee, dalle nitide geometrie, dai contrasti, alternativamente duri o soffusi, tra luce e ombra, stemperati nella nebbia che nasconde e rivela, o nitidamente accesi quando il biancore assoluto di una neve che tutto ammanta contrasta con la drammatica cupezza di rocce, di isole, di spiagge, di livide distese d'acqua. Insomma, a Kenna non interessa documentare la presenza, attuale e diretta, dell'uomo, ma solo le tracce, labili o imponenti, che lui si è lasciato dietro, l'esito del suo intervento, del suo transito nel mondo".

Sandro Parmiggiani

I paesaggi di Michael Kenna, innaturalmente silenziosi e poeticamente eloquenti, sono stati i protagonisti della ricca antologia "Immagini del settimo giorno", tenutasi a Palazzo Magnani di Reggio Emilia nel 2010, in occasione della quinta edizione di Fotografia Europea. La mostra curata da Sandro Parmiggiani, ha ripercorso l’iter creativo del grande maestro inglese attraverso 290 immagini in bianco e nero, di cui 60 inedite, in parte dedicate alle sfumature del paesaggio reggiano, in parte ai riflessi e alle geometrie di quello lagunare veneziano. Le "Immagini del settimo giorno" abbondano di nebbie del crepuscolo, brume dell’alba, orizzonti infiniti, cupe silhouette, dei paesaggi urbani e rurali, dell’Inghilterra degli anni ‘70 e ‘80, ma anche delle piramidi egizie e maya, delle statue dell’Isola di Pasqua, dei mulini a vento...

giovedì 16 ottobre 2014

I "Paesaggi" di Henri Cartier-Bresson



"Io possiedo solo un piccolo talento. Posso rappresentare le montagne e le colline".
Riportate dagli annali del Nihonshoki dell'anno 612, queste parole sono di un coreano che voleva restare in Giappone e che prometteva di rendere grandi servizi al Paese: la gente all'epoca l'ascoltò invece di cacciarlo via, dandogli più tardi il bel soprannome di "artigiano dei sentieri". Le poche frasi di questo coreano ebbero grandi conseguenze visto che sono all'origine dell'arte dei giardini...
Non basta però mettere insieme qualche pietra, anche con gusto, disegnare dei contorni di un'isola o il profilo di un fiume per ottenere un paesaggio di valore. I paesaggi sono vedute a tre dimensioni, ma prive di ciò che ingombra lo sguardo o le brutture che ci circondano.

Si pensa a questo di fronte ai paesaggi fotografati da Henri Cartier-Bresson. Prima di tutto, perché la fotografia è oggi il mezzo per riprodurre le montagne e le colline, le pianure e i fiumi; poi perché lui ha fatto entrare nello spazio ristretto dell'immagine un mondo immenso e riuscendo a contenerlo, all'interno di questo formato obbligato, grazie al rispetto di tre vecchi principi: la necessità di avere più piani, la giustezza delle proporzioni, la ricerca di un equilibrio; in una parola, la presenza di un'ossatura, come dicevano gli antichi maestri della pittura a inchiostro...


Gérard Macé


Personaggio divenuto mitico suo malgrado, Henri Cartier-Bresson ha segnato con un'impronta personale il mondo della fotografia con un rigore d'analisi e un rapporto tra forma e contenuto che non ammette quasi altro modo per esprimere un fatto, descrivere un paesaggio, realizzare un ritratto. Il patrimonio delle sue immagini rappresenta ormai una pietra miliare: non si può essere fotografi senza rapportarsi, per imitazione, contrapposizione o proselitismo, con la sua opera. Sinonimo egli stesso del termine "fotografia", che ha arricchito di teoria non meno che di folgoranti esempi pratici, ci offre in questo libro sui "Paesaggi", ben 105 delle sue migliori immagini, dalle quali imparare, imparare, imparare, introdotte da un profondo testo di Erik Orsenna e completate dalle parole di Macé.